venerdì 1 giugno 2012

Agenda Digitale Italiana

Alcune riflessioni sull'agenda digitale italiana e sulle iniziative per la scuola ad essa collegate (gruppo di lavoro "Informatizzazione digitale e competenze digitali"), di cui riporto testualmente il primo obiettivo: "estendere il modello della scuola digitale (banda larga per la didattica nelle scuole; cloud per la didattica; trasformare gli ambienti di apprendimento; contenuti digitali e libri di testo /adozioni; formazione degli insegnanti in ambiente di blended e-learning; LIM – e-book; e-participation...)". Belle parole, molto trendy, ma vuote. Anche l'espressione "formazione degli insegnanti in ambiente blended e-learning" è molto accattivante, ma mi scatena un'immediata domanda: "formazione su cosa?". Se da un lato l'iniziativa è meritoria nelle intenzioni, dall'altro sono desolato nel constatare una realtà vecchia che emerge dai contenuti (almeno per me, naturalmente). In perfetta sintonia e continuità con il passato, si pensa agli insegnanti come alunni discoli che devono mettersi in riga e alla scuola e alla formazione come contenitori in cui "versare" la tecnologia. L'altro ieri, audio e video cassette; ieri PC e Internet; oggi LIM, e-book, tablet; domani chissà. Come se bastasse riempire un'aula di "giocattoli" per assicurare la buona riuscita dei processi di appendimento. Accidenti! Mi è scappata una parola che forse è antiquata, vecchia e polverosa. Però a me piace e la ripeto: "apprendimento". In questo blog ne ho parlato spesso. La tecnologia è "buona" solo se produce apprendimento in un contesto organico di programmazione didattica ed educativa. Da sola non ne è garanzia e mai lo sarà (con buona pace di sciamani digitali e nuovi profeti). E' buona se diventa strumento plasmabile nelle mani del cittadino per l'acquisizione di competenze, intese in termini di abilità/capacità e conoscenze, così come previsto dalla Raccomandazione del Parlamento e del Consiglio sul sistema EQF (a proposito è questa l'Europa che mi piace, qui il testo originale dell'atto), con lo scopo di un "apprendimento permanente", che non inizia e finisce a scuola o all'università, o peggio che non va oltre il suono della campanella o un esame, ma continua ogni giorno, tutti i gorni (non va dimenticato che, in quest'ottica, il tanto bistrattato libro è, comunque, una tecnologia). Il progetto digitale per il nostro sistema di istruzione e formazione deve partire da una "pedagogia delle tecnologie educative" per permettere a tutti di imparare, ma anche di generare conoscenza, sempre e ovunque, in maniera consapevole e digitally wise. La ricetta, se mi si passa il termine, che propongo è sempre la stessa (questa volta con una metafora automobilistica): non si dovrebbe mai partire dal pit-stop (le tecnologie), ma dai semafori che da rossi diventano verdi sopra la linea dello start (la pedagogia, il progetto educativo), utilizzando le soste (i pit-stop, appunto) per migliorare le performance di macchina (il discente / il cittadino) e pilota (il docente / l'educatore / il formatore) e arrivare, quindi, per primi alla bandiera a scacchi.
   

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