Alcune riflessioni sull'agenda digitale italiana e sulle iniziative per la scuola ad essa collegate (gruppo di lavoro "Informatizzazione digitale e competenze digitali"), di cui riporto testualmente il primo obiettivo: "estendere il modello della scuola digitale (banda larga per la didattica nelle scuole; cloud per la didattica; trasformare gli ambienti di apprendimento; contenuti digitali e libri di testo /adozioni; formazione degli insegnanti in ambiente di blended e-learning; LIM – e-book; e-participation...)". Belle parole, molto trendy, ma vuote. Anche l'espressione "formazione degli insegnanti in ambiente blended e-learning" è molto accattivante, ma mi scatena un'immediata domanda: "formazione su cosa?". Se da un lato l'iniziativa è meritoria nelle intenzioni, dall'altro sono desolato nel constatare una realtà vecchia che emerge dai contenuti (almeno per me, naturalmente). In perfetta sintonia e continuità con il passato, si pensa agli insegnanti come alunni discoli che devono mettersi in riga e alla scuola e alla formazione come contenitori in cui "versare" la tecnologia. L'altro ieri, audio e video cassette; ieri PC e Internet; oggi LIM, e-book, tablet; domani chissà. Come se bastasse riempire un'aula di "giocattoli" per assicurare la buona riuscita dei processi di appendimento. Accidenti! Mi è scappata una parola che forse è antiquata, vecchia e polverosa. Però a me piace e la ripeto: "apprendimento". In questo blog ne ho parlato spesso. La tecnologia è "buona" solo se produce apprendimento in un contesto organico di programmazione didattica ed educativa. Da sola non ne è garanzia e mai lo sarà (con buona pace di sciamani digitali e nuovi profeti). E' buona se diventa strumento plasmabile nelle mani del cittadino per l'acquisizione di competenze, intese in termini di abilità/capacità e conoscenze, così come previsto dalla Raccomandazione del Parlamento e del Consiglio sul sistema EQF (a proposito è questa l'Europa che mi piace, qui il testo originale dell'atto), con lo scopo di un "apprendimento permanente", che non inizia e finisce a scuola o all'università, o peggio che non va oltre il suono della campanella o un esame, ma continua ogni giorno, tutti i gorni (non va dimenticato che, in quest'ottica, il tanto bistrattato libro è, comunque, una tecnologia). Il progetto digitale per il nostro sistema di istruzione e formazione deve partire da una "pedagogia delle tecnologie educative" per permettere a tutti di imparare, ma anche di generare conoscenza, sempre e ovunque, in maniera consapevole e digitally wise. La ricetta, se mi si passa il termine, che propongo è sempre la stessa (questa volta con una metafora automobilistica): non si dovrebbe mai partire dal pit-stop (le tecnologie), ma dai semafori che da rossi diventano verdi sopra la linea dello start (la pedagogia, il progetto educativo), utilizzando le soste (i pit-stop, appunto) per migliorare le performance di macchina (il discente / il cittadino) e pilota (il docente / l'educatore / il formatore) e arrivare, quindi, per primi alla bandiera a scacchi.
Visualizzazione post con etichetta docenti. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta docenti. Mostra tutti i post
venerdì 1 giugno 2012
mercoledì 22 febbraio 2012
La scuola che si racconta
Breve post per segnalare la bellissima iniziativa "Storie di didattica: la scuola che si racconta", che nasce come progetto formativo e di sviluppo professionale per i membri del fortunato network "La scuola che funziona". Il progetto intende prendere spunto dalle pratiche reali di insegnamento (narrazioni / storie) con lo scopo di far accrescere lo sviluppo professionale dell'insegnante che "fa leva sulla riflessione intorno alla propria (ma anche altrui) pratica. Attraverso la narrazione l'insegnante 'studia' se stesso (non un libro) ed 'insegna' a se stesso (non è insegnato da terza persona)" (citazione dal portale ufficiale). Il progetto si inserisce nel solco di una recente corrente teorica denominata "Il pensiero degli insegnanti", in cui il profilo del docente si caratterizza per un netto passaggio dall'expertise tecnica alla pratica riflessiva come nuova identità professionale. L'insegnate diventa ricercatore e non agisce in solitudine, ma dialoga con gli altri (costruendo e partecipando a comunità di pratica in presenza o virtuali, come nel caso di specie), perché il discorso, per essere definito vivo, ha bisogno di essere comunicato e condiviso.
In basso il video di descrizione del progetto. Plaudo all'iniziativa e la sottoscrivo: docenti, formatori, educatori, accorrete numerosi a raccontare le vostre storie.
Il progetto ha anche una pagina Facebook.
Segnalazione n. 2: finalmente Helen Barret si è dedicata a sviluppare un esempio di e-Portfolio anche per le lingue, utilizzando "Google sites". Il tool contiene strategie per documentare le abilità di produzione e ricezione scritta e orale tramite l'uso di tecnologie di rete. Il lavoro prevede un affinamento progressivo e merita di essere seguito, in quanto questo filone può avere una serie di interessanti sviluppi nella glottodidattica.
Segnalazione n. 3: anzi questa è un'autosegnalazione e un appunto personale. Tramite Caterina Policaro, segnalo un post sulle parole "Web 2.0 e social media". Si tratta, per me, di un ulteriore conforto sul fatto che forse non ero così fuori strada quando, all'inizio del percorso di dottorato, "incautamente" sostituii, oralmente e per iscritto, l'espressione "Web 2.0" con "social web" (intitolando, in questo modo, anche un paragrafo della tesi).
In basso il video di descrizione del progetto. Plaudo all'iniziativa e la sottoscrivo: docenti, formatori, educatori, accorrete numerosi a raccontare le vostre storie.
Il progetto ha anche una pagina Facebook.
Segnalazione n. 2: finalmente Helen Barret si è dedicata a sviluppare un esempio di e-Portfolio anche per le lingue, utilizzando "Google sites". Il tool contiene strategie per documentare le abilità di produzione e ricezione scritta e orale tramite l'uso di tecnologie di rete. Il lavoro prevede un affinamento progressivo e merita di essere seguito, in quanto questo filone può avere una serie di interessanti sviluppi nella glottodidattica.
Segnalazione n. 3: anzi questa è un'autosegnalazione e un appunto personale. Tramite Caterina Policaro, segnalo un post sulle parole "Web 2.0 e social media". Si tratta, per me, di un ulteriore conforto sul fatto che forse non ero così fuori strada quando, all'inizio del percorso di dottorato, "incautamente" sostituii, oralmente e per iscritto, l'espressione "Web 2.0" con "social web" (intitolando, in questo modo, anche un paragrafo della tesi).
giovedì 17 marzo 2011
Back again: riflessioni varie
Riemergo dal mio semi-letargo digitale. Gli ultimi mesi sono stati molto intensi e hanno, di fatto, cambiato radicalmente la mia vita e quella della mia famiglia. Prima i lavori in casa, poi la corsa per ultimare la Tesi di Dottorato entro la scadenza e, soprattutto, la nascita della mia primogenita Francesca Pia, il 31 gennaio 2011. In questo momento, mentre scrivo per il blog, con la mano sinistra (a fatica) digito sulla tastiera, mentre con la destra la cullo, tentando di farla addormentare: il digitale si interseca con il quotidiano. Lo spunto per questo post mi è venuto leggendo un articolo della sezione Basilicata dell'edizione cartacea del quotidiano "La Gazzetta del Mezzogiorno", di sabato 12 marzo. Il pezzo riporta la presentazione dei risultati dell'indagine "Abitudini e stili di vita degli adolescenti italiani", a cura della "Società Italiana di Pediatria", tenutasi presso l'Istituto Comprensivo "Sinisgalli" di Potenza (il raffronto tra dati nazionali e dati potentini è sul sito dell'Istituto). Lo studio è stato effettuato tra settembre e ottobre 2010, coinvolgendo un campione nazionale di circa 1300 studenti delle scuole medie inferiori, di età compresa tra i 12 e i 14 anni e somministrando loro un questionario durante l'orario scolastico. Tra le sezioni individuate, una è dedicata a "TV, Internet, videogiochi, cellulare". I dati fanno emergere un sostanziale "superamento" dell'utilizzo di Internet, rispetto alla televisione, per tempi inferiori a un'ora e superiori alle tre al giorno; durante i pasti principali e dopo cena la televisione la fa ancora da padrone, mentre di pomeriggio è altissima la percentuale dei ragazzi che usano della Rete. A Potenza, il 71,6% degli intervistati ha dichiarato di avere un profilo su Facebook (la percentuale nazionale si attesta al 67,1); molto alte, in tutta Italia così come nel capoluogo lucano, sono le percentuali legate ai servizi usufruiti online, quali "YouTube", "scaricare e condividere musica, immagini, video", "utilizzare Facebook, Twitter, ecc". E', inoltre, interessante il dato relativo a "cercare informazioni": i potentini si attestano al 72,8%, percentuale superiore alla media nazionale pari al 67,5%. Oltre a considerare questa indagine come un ulteriore ennesimo tassello da inserire nella vasta discussione sulla net generation, con tutte le varianti connesse di millennials, digital natives, ecc. (una buona sintesi è nell'articolo "The 'Net Generation' and the myth of research", segnalato, via Facebook, da Antonio Fini), è apprezzabile l'idea di utilizzare una scuola, alla presenza di insegnanti, genitori e studenti, per la presentazione dei dati di una ricerca di questo tipo, soprattutto per il dibattito che ne è poi scaturito. E' giusto coinvolgere tutti gli attori evitando, però, di cadere nell'errore di lanciarsi in facili generalizzazioni, magari senza aver mai toccato con mano le reali implicazioni della questione. Se da un lato, infatti, la Preside dell'Istituto ha affermato che "non si possono distogliere i ragazzi da Internet, ma guidarli a un uso consapevole e misurato", dall'altro gli interventi di alcuni genitori e dello stesso Dirigente Scolastico evidenziano ancora molte paure, dubbi e incertezze: in buona sostanza prevalgono gli aspetti "negativi", o presunti tali, rispetto agli innumerevoli vantaggi e possibilità, anche e soprattutto in termini educativi, che la Rete offre. La strada da seguire, comunque, è questa. Durante la ricerca di Dottorato, mi sono imbattuto in una forte esigenza, o meglio in un disperato bisogno, da parte dei docenti, di formazione specifica e non solo tecnologica, ma essenzialmente "tecno-pedagogica". Affiancare alle oramai innumerevoli ricerche legate ai ragazzi, al loro punto di vista, al loro "mondo" e alle loro "usanze" anche la "visuale" dei genitori e degli insegnanti, significa andare verso una cultura della condivisione degli obiettivi e delle aspettative di tutte le componenti del "sistema". Gli insegnanti devono essere maggiormente coinvolti, recuperando l'enorme bagaglio di esperienze sul campo da integrare con le potenzialità delle tecnologie di rete. Imporre dall'alto una serie di pratiche educative (si veda la "questione LIM"), una formazione solo tecnologica ("come si usa", "cosa fa", "funzioni e comandi" e così via), organizzare corsi e conferenze con esperti, ecc., sembra essere non più sufficiente. Soprattutto per bocca dei diretti interessati. Una parte cospicua dei docenti da me intervistati conosce i social media, o almeno ne ha sentito parlare. Al contrario, le domande che molti di loro si pongono sono del tipo: Come integro questi tool nella didattica d'aula? Come faccio a migliorare la mia progettazione educativa con l'ausilio delle tecnologie di rete? Cosa posso insegnare attraverso tali strumenti? E' tempo di operare una sorta di "controrivoluzione copernicana". Questo non significa riportare l'insegnante al centro del sistema, ma ripartire proprio da una ridefinizione del ruolo e delle competenze dei docenti per sfruttare tutte le potenzialità educative insite nelle tecnologie di rete.
E ora alcune segnalazioni:
- l'elenco delle pubblicazioni di Jane Hart, "My guides to using social media", fornisce una serie di spunti interessanti per un utilizzo pratico delle tecnologie digitali e di rete nella didattica;
- l'ultimo numero di Form@re, dedicato al microblogging e ad alcune esperienze europee sull'uso didattico dei social network;
- un elenco di attività per potenziare le abilità legate alla comprensione e produzione orale e alla produzione scritta in lingua straniera, utilizzando una serie di web tool (dal blog di Ana Maria Menez).
Infine, embedo l'ultimo video di Michael Wesch, in cui il ricercatore rielabora e attualizza alcuni dei temi da lui trattati nei suoi precedenti lavori.
E ora alcune segnalazioni:
- l'elenco delle pubblicazioni di Jane Hart, "My guides to using social media", fornisce una serie di spunti interessanti per un utilizzo pratico delle tecnologie digitali e di rete nella didattica;
- l'ultimo numero di Form@re, dedicato al microblogging e ad alcune esperienze europee sull'uso didattico dei social network;
- un elenco di attività per potenziare le abilità legate alla comprensione e produzione orale e alla produzione scritta in lingua straniera, utilizzando una serie di web tool (dal blog di Ana Maria Menez).
Infine, embedo l'ultimo video di Michael Wesch, in cui il ricercatore rielabora e attualizza alcuni dei temi da lui trattati nei suoi precedenti lavori.
lunedì 21 giugno 2010
Web tools per la didattica e altri spunti
Segnalo un bel lavoro di Ana Maria Menezes, insegnante di EFL (English as a Foreign Language) in Brasile, dal titolo: Web tools applied to teaching. E' un breve compendio in cui l'autrice elenca una serie di strumenti web-based e di tipo free da utilizzare nella didattica, soprattutto delle lingue straniere. Ogni scheda è corredata da esempi, proposte operative in aula e fuori e skill linguistiche coinvolte. Premesso che sono un convinto sostenitore delle risorse a disposizione di chiunque e utilizzabili da qualunque postazione, in un'ottica di lifelong learning, il lavoro di Ana Maria mi sembra un'ottimo punto di partenza per quanti desiderino aprire le proprie prospettive e percorrere nuove strade per innovare la didattica.
Embedo, di seguito (sempre nell'ottica di: blog = anche raccolta di appunti personali), una bella e sintetica presentazione sul tema del PLE (Personal Learning Environment), sul quale a breve scriverò un post più articolato.
Infine, chiudo segnalando il post di Pier Cesare Rivoltella, Scuola del futuro?, contenente una serie di interessanti spunti di riflessione, a seguito di un progetto annuale sviluppato in alcune scuole. I filoni da lui individuati sono essenzialmente tre: mind the gaps (importanza di tenere conto delle distanze / differenze, per esempio quelle tra nativi digitali e docenti); considerare la complessità (quindi progettare bene i passaggi per inserire le tecnologie in aula in modo proficuo); frequentare i confini (abbandonare i punti di vista puri, ma, per esempio, iniziare a tener conto anche degli incroci e delle contaminazioni tra saperi).
Embedo, di seguito (sempre nell'ottica di: blog = anche raccolta di appunti personali), una bella e sintetica presentazione sul tema del PLE (Personal Learning Environment), sul quale a breve scriverò un post più articolato.
Infine, chiudo segnalando il post di Pier Cesare Rivoltella, Scuola del futuro?, contenente una serie di interessanti spunti di riflessione, a seguito di un progetto annuale sviluppato in alcune scuole. I filoni da lui individuati sono essenzialmente tre: mind the gaps (importanza di tenere conto delle distanze / differenze, per esempio quelle tra nativi digitali e docenti); considerare la complessità (quindi progettare bene i passaggi per inserire le tecnologie in aula in modo proficuo); frequentare i confini (abbandonare i punti di vista puri, ma, per esempio, iniziare a tener conto anche degli incroci e delle contaminazioni tra saperi).
martedì 25 maggio 2010
L'apprendimento è sociale?
Ho seguito con interesse una diatriba oltre oceano sulla natura dell'apprendimento: c'è chi sostiene che si tratti di una pratica essenzialmente sociale e chi, invece, afferma l'esatto contrario. A parte la mia naturale repulsione verso posizioni troppo rigide che non contemplino una scala di grigi, credo che la questione non sia da porre in termini di “contrapposizione tra guelfi e ghibellini”, né di asserzioni nette. Le mie riflessioni, ovviamente, sono da considerarsi nell'ottica della glottodidattica e delle dinamiche sottese all'acquisizione / apprendimento di una o più lingue straniere. In breve, la mia idea è che l'apprendimento sia, prevalentemente, una pratica sociale, ma anche che una componente di riflessione o meta-riflessione di natura personale o "privatistica" contribuisca a completare il processo in maniera efficace. Una lingua è “un mezzo per raggiungere scopi, un’espressione di un rapporto di ruolo sociale, un indicatore di appartenenza a un gruppo, un’espressione di una cultura, uno strumento del pensiero e uno strumento di espressione” (Balboni, 2002, p. 59-60). L’acquisizione/apprendimento di una lingua straniera si caratterizza, di conseguenza, per essere un processo sociale, basato sul contenuto e sulla “lingua reale”, che si sviluppa nell’interscambio con il mondo e le persone. Il primo riferimento alla dimensione sociale della lingua è dell’inglese John Rupert Firth che, già negli anni ’30 del XX secolo, teorizzava una filosofia del linguaggio basata sullo stretto rapporto tra lingua, cultura e società. Inoltre, sosteneva che la lingua andasse studiata nella sua accezione di fenomeno sociale e, di conseguenza, in situazioni reali d’uso. Successivamente, negli anni ’60, Dell Hymes introdusse il concetto di competenza comunicativa, mentre, qualche anno dopo, M.A.K. Halliday (1978) focalizzò la sua attenzione sulla funzione sociale del linguaggio. Di recente, il cosiddetto approccio socio-glottodidattico, ha come finalità quella di “sviluppare nei discenti una sensibilità socio-linguistica che consenta loro di diventare sempre più indipendenti nella comprensione e nella gestione dell’uso sociale della lingua” (Santipolo, 2010). Da quanto appena illustrato, si evince che nella letteratura riferita alla ricerca sulla didattica delle lingue straniere, l'importanza del contesto sociale nell'acquisizione / apprendimento è stata ampiamente assodata e dimostrata. Uno dei problemi che, infatti, affligge costantemente il docente è la scarsa esposizione dei suoi studenti alla lingua target. Tant'è che la soluzione spesso proposta dagli educatori è consigliare un periodo di immersione totale nel paese di riferimento, dove sussistono le condizioni per un'acquisizione naturale (Krashen, 1982). La fase di elaborazione personale è, però, necessaria, per sedimentare e rendere acquisite le strutture incontrate. Ed è qui che diventa cruciale il compito del docente: fornire allo studente gli strumenti per creare il proprio percorso di apprendimento consapevole, al di fuori del contesto meramente scolastico, in un’ottica di Lifelong and Lifewide Language Learning. Uno studente autonomo è, infatti, capace di elaborare strategie meta-cognitive riguardanti le operazioni di progettazione, selezionare metodi e strumenti idonei per realizzare il proprio percorso, auto-valutarsi e rapportarsi agli altri in maniera cooperativa (capacità socio-affettive). In questo scenario le tecnologie e, di recente, soprattutto quelle di rete, possono contribuire a creare un ambiente di apprendimento, per le lingue straniere, motivante ed efficace in cui il discente può essere aiutato a potenziare le varie abilità linguistiche, ma anche a riflettere sulla lingua e sul suo continuo evolversi, sulle strutture, sulla cultura e sull’importanza di acquisire strategie utili e produttive sia nell’immediato sia in prospettiva.
Embedo, di seguito, il video di David Truss, della durata di quattro minuti circa, sull'importanza di essere un networked teacher ("A brave new world-wide-web"). Segnalo una sua affermazione, riferita al rapporto tra insegnante e tecnologie, che dovrebbe essere spesso tenuta in considerazione: "See the opportunities rather than the obstacles" ("Vedi le opportunità e non gli ostacoli" o "Concentrati sulle opportunità e non sugli ostacoli").
Embedo, di seguito, il video di David Truss, della durata di quattro minuti circa, sull'importanza di essere un networked teacher ("A brave new world-wide-web"). Segnalo una sua affermazione, riferita al rapporto tra insegnante e tecnologie, che dovrebbe essere spesso tenuta in considerazione: "See the opportunities rather than the obstacles" ("Vedi le opportunità e non gli ostacoli" o "Concentrati sulle opportunità e non sugli ostacoli").
venerdì 2 aprile 2010
Connecting and learning teachers
Lo spunto per questo post viene da un pezzo di Will Richardson intitolato “Connected teacher” che, a sua volta, muove da alcune riflessioni sulla bozza del National Education Technology Plan, elaborato dall’Amministrazione Obama sull’utilizzo effettivo delle tecnologie per migliorare la didattica e l’apprendimento nelle scuole americane (in fondo al post il video di Arne Duncan, Secretary of Education). Tra gli obiettivi che si pone il documento è quello di connettere gli insegnanti tra loro per migliorare le proprie capacità didattiche. Richardson suggerisce, a mio avviso in maniera calzante, che la partecipazione degli insegnanti a comunità di pratica richieda un livello molto elevato di partecipazione e condivisione, oltre a un altro aspetto forse ancora più decisivo: i docenti devono considerare se stessi soprattutto come learners (non a caso uso il termine inglese non tradotto) in classe insieme ai loro studenti. Inoltre, diventa cruciale il ruolo della formazione in servizio, in termini di indicazioni pertinenti su come utilizzare strategie efficaci per migliorare e potenziare il proprio apprendimento online, soprattutto in riferimento al problema dell’information overload. Questi aspetti sono, a mio avviso, nodali se vogliamo realmente un cambio di rotta sulla programmazione curricolare a livello nazionale. Gli Stati Uniti sono decisi a seguire questa rotta e noi a che punto siamo? Molteplici studi (Ferri, Rivoltella, ecc.) sottolineano che uno degli scopi della “scuola in era digitale” è quello di educare i ragazzi a un uso consapevole dei media, quindi la domanda è: il nostro sistema scolastico è pronto a supportare i docenti in questo delicato compito?
A questo proposito, un interessate spunto metodologico proviene dal modello elaborato da Dave Snowden, costituito da due dimensioni: una verticale, basata sul maggiore o minore livello di astrazione; e una orizzontale, basata sulla cultura, intesa come rapporto tra insegnamento e apprendimento. Le possibili interazioni sono quattro: Low abstraction - Teaching, i materiali sono quelli ufficiali e strutturati; Restricted abstraction - Teaching, è il campo degli esperti e il contesto è dato da sistemi professionali in campo educativo, mentre l’appartenenza alla comunità è formale piuttosto che informale; Restricted abstraction - Learning, il livello di astrazione è più orientato all'esperienza comune che al linguaggio specialistico, per comunicare in questi ambienti bisogna condividere esperienze, vissuto e valori. E’ anche l'area per la serendipity (secondo Bowles, la ricerca umana della conoscenza può avvenire per caso, o come sottoprodotto del compito principale, fonte: “Of serendipity”); Low abstraction - Learning, è lo spazio meno strutturato dove l’utilizzo di tecnologie di rete può essere più o meno utile.
Di seguito, il video in cui Duncan invita i docenti a postare commenti, video, esperienze sul National Education Technology Plan e chiude con una frase significativa: “Technology has the potential to transform education. With your help, we can make that happen” (La tecnologia ha il potenziale per trasformare l'istruzione. Con il vostro aiuto, possiamo far sì che ciò accada).
venerdì 26 marzo 2010
La valutazione nel social web
I docenti hanno da sempre evidenziato che, tra i problemi legati all’eventuale integrazione di tecnologie di rete nella didattica d’aula, vi è quello della valutazione. Come essere sicuri di riuscire a individuare e valutare le reali produzioni dei ragazzi? Domanda complessa che richiede una riflessione complessa e approfondita. Se diamo per scontato che il social web implica la ridefinizione di una nuova pedagogia, per tutte le discipline e soprattutto per l’insegnamento delle lingue straniere, la naturale conseguenza e ripensare alla valutazione delle produzioni degli studenti. Nuove competenze vengono richieste sia a loro sia agli insegnanti (Richardson, nel suo testo su Blogs, Wikis, Podcasts individua quattro nuove funzioni per il docente: connector, content creator, collaborator, coach). Stephen Downes, in un interessantissimo post fa riferimento a due rubriche di Clarence Fisher: una dedicata ai blog e una dedicata alle connessioni. Mi sembra si tratti documenti da cui partire per poter operare una riflessione approfondita. Da segnalare, sul tema, due fonti. Il bell’articolo di Dan Conover, Blogging in the new decade, secondo cui negli ultimi anni l’avvento dei social network (Facebook, Twitter, Friendfeed) e la conseguente limitazione del numero di caratteri nei post, rende i blog la parte più strutturata dell’informazione, mentre ai network è delegato il compito di amplificare questi contenuti, con rimandi e link ai siti di riferimento (cito da un post di Granieri: “i social network sono pertanto una forma di distribuzione del blog”). L’altra è il numero di marzo/aprile di Form@re interamente dedicato al rapporto tra blog, didattica e apprendimento.
domenica 28 febbraio 2010
Nativi digitali in gara
L’Iit-Cnr (Istituto di informatica e telematica del Consiglio Nazionale delle Ricerche), in collaborazione con Current, il social network fondato da Al Gore, e Registro.it, ha lanciato il progetto “Nativi digitali”. L'iniziativa ha lo scopo di diffondere la cultura di Internet nelle scuole, ponendo attenzione sugli aspetti positivi della rete e sulle opportunità che essa può offrire a chi abbia fantasia e idee. Saranno numerosi gli studenti italiani degli istituti superiori a essere coinvolti in questo concorso di idee. Nelle prossime settimane verranno inviati migliaia di kit alle scuole, che forniranno gli spunti di partenza per permettere ai ragazzi di elaborare le loro proposte. Le migliori non saranno soltanto premiate, ma anche realizzate in concreto: alla ricerca di nuovi Larry Page e Mark Zuckerberg (i fondatori di Facebook) (fonte: Corriere della Sera). A completamento, segnalo il video introduttivo dei lavori del seminario internazionale dell'ADI (Associazione Docenti Italiani) “Da Socrate e Google. Come si apprende nel nuovo millennio”, svoltosi a a Bologna il 27 e 28 Febbraio 2009...
...e il libro elettronico che raccoglie gli atti dei convegni organizzati da Media 2000 sul tema dei nativi digitali.
...e il libro elettronico che raccoglie gli atti dei convegni organizzati da Media 2000 sul tema dei nativi digitali.
sabato 27 febbraio 2010
Ancora sul connettivismo
Ecco un video (in inglese) semplice semplice sul connettivismo e sulle implicazioni che i nuovi docenti si trovano ad affrontare. Da segnalare, verso la fine, l'elenco dei ruoli dell'insegnante considerato come responsabile principale del mantenimento e della sopravvivenza della "learning network" (rete di apprendimento): learning architect, modeler, learning consierge, connected learning incubator, network sherpa, synthesizer, change agent.
venerdì 26 febbraio 2010
La scuola 2.0 e i nativi digitali
Una brillante presentazione di Paolo Ferri, Professore Associato e docente di Tecnologie didattiche e Teoria e tecnica dei nuovi media presso la Facoltà di Scienze della Formazione dell’Università degli Studi Milano Bicocca, che affronta il tema dei nativi digitali e il loro rapporto con le tecnologie. Altro aspetto essenziale del lavoro è una riflessione su come la scuola dovrebbe cambiare approccio. Non si tratta di "piegarsi" alle necessità dei nuovi allievi, quanto piuttosto, a mio avviso, immaginare ambienti di apprendimento per utenti multitasking, di cui la scuola attuale è sprovvista con conseguente allontanamento dal mondo in cui vivono i suoi soggetti target.
venerdì 19 febbraio 2010
Il docente nell’era dei network digitali
Il ruolo del docente nell’epoca dei network digitali è destinato a cambiare. George Siemens, il teorico del connettivismo, ritiene che l’apprendimento sia strettamente legato alla nostra capacità di creare connessioni con persone, idee e concetti (alcune delle quali possono essere deboli e non produrre risultati), anche attraverso tecnologie di rete. Queste non rappresentano una novità in termini sostanziali, quanto piuttosto l’estensione delle modalità di produzione e trasmissione della conoscenza che l’uomo ha da sempre cercato di potenziare negli ultimi 500 anni. Il connettivismo, quindi, si pone l’obiettivo di spiegare gli effetti delle tecnologie sul nostro modo di vivere, di comunicare e, soprattutto, di apprendere. Al di là delle implicazioni pedagogiche (consiglio l’articolo di Calvani, “Connectivism: new paradigm or fascinating pot-pourri?”, per una visione critica della teoria), il docente è comunque portato a confrontarsi con il nuovo modo di relazionarsi dei suoi allievi. A questo proposito, credo sia utile la lettura di un articolo dello stesso Siemens tratto dal suo blog, “Teaching in Social and Technological Networks”, che tratta l’argomento. In breve, a suo parere, “social and technological networks subvert the classroom-based role of the teacher”; quest’ultimo si trova, quindi, a dover acquisire nuove competenze quali: “amplifying, curating, wayfinding and socially-driven sensemaking, aggregating, filtering, modeling, persistent presence”. Di seguito una video-intervista (in inglese) a Siemens sulla teoria del connettivismo.
giovedì 18 febbraio 2010
Tecnologia buona, tecnologia cattiva
Il tema, ancora una volta, è controverso e opinabile. Tornando da Macerata con alcuni colleghi, abbiamo discusso la questione, partendo dalla parafrasi di un assunto di McLuhan sulla televisione, che è diventato: “non è la tecnologia a essere buona o cattiva ma è l'uso che se ne fa”. Si tratta, come è chiaro, di una posizione neutrale o meglio “non invasiva”, ma guardando la storia dell’uomo non è poi del tutto distante dalla verità. Alcuni esempi. I nostri antenati potevano usare lance e spade per cacciare, tagliare pietre e/o legno, ma anche per uccidere; la stampa è stata, forse, la più grande conquista dell’umanità, ma spesso è usata per distruggere, piuttosto che per costruire; i mass media permettono una partecipazione globale ai fatti della storia, ma sono anche lo strumento principale di cui i regimi dittatoriali o debolmente democratici si servono per plagiare le folle. E poi com’è comico l’atteggiamento di chi sentenzia: “Io leggo i libri e i giornali perché Internet non è affidabile”. Libri e giornali sono fatti di carta. Cos’è la carta se non un altro tipo di tecnologia? Anzi è la tecnologia che noi, “immigrati digitali”, conosciamo meglio in quanto siamo nati nella sua "era". Qualcuno, inoltre, potrebbe sottolineare come il profumo della carta stampata o del libro antico non siano paragonabili allo schermo di un PC. Vero, ma come contraddire un “nativo digitale” che, capovolgendo la questione, esprima la sua preferenza per le interfacce user-friendly e amichevoli dei social network? Un ulteriore interlocutore potrebbe, infine, far notare che, a volte, i nuovi strumenti di comunicazione possono ritorcersi contro di noi, come racconta un articolo di Repubblica. Il pezzo tratta del rischio di come l’abitudine a fornire informazioni su Twitter, anche sulla nostra posizione, per esempio il non essere in casa a una certa ora, possa dare la giusta imbeccata ai malintenzionati sul momento giusto in cui svaligiare le nostre abitazioni, come pare sia successo ad alcuni noti personaggi d’oltre oceano. Il termine tecnologia, quindi, è molto ampio e comprende tutti gli strumenti che gli uomini hanno usato e usano per migliorare la propria condizione e per modificare il mondo circostante. La mia opinione al riguardo è banale, ma mi sembra la più adatta per definire le tecnologie, soprattutto in campo educativo, e rimanda alla parafrasi dell’assunto di McLuhan. Da questo punto di vista, un mio collega ha giustamente sottolineato come si possa fare della cattiva didattica sia con sia senza le tecnologie. Non è importante, allora, il “giocattolo”, ma il valore aggiunto che questo riesce a fornire al processo educativo e il modo in cui l’insegnante lo integra nell'attività didattica quotidiana, nella sua continua ricerca di metodi e tecniche per migliorare i risultati della sua azione formatrice.
sabato 30 gennaio 2010
Usiamo davvero le tecnologie?
Nel lontano 1979 (uso la parola lontano, in quanto 31 anni sono molti in termini di evoluzione tecnologica e approcci didattici), Olson, nel saggio “Linguaggi, media e processi educativi”, sottolineava la necessità di un insegnamento-apprendimento multimediale. Dal suo punto di vista, i mezzi della comunicazione e dell’istruzione non sono vie opzionali per perseguire lo stesso scopo, ma vie ottimali per raggiungere scopi diversi. Nonostante i diversi lustri trascorsi, il suo pensiero mi sembra attuale nella didattica di qualunque disciplina e, soprattutto, per quanto riguarda le lingue straniere. In molti casi, le tecnologie e i computer sono entrati nelle scuole di ogni ordine e grado in maniera dirompente e gli insegnanti hanno dirottato nei laboratori molte delle attività ordinarie che si svolgevano in classe: dal gesso alla scrittura su schermo proiettata su un muro, dai quaderni ai singoli elaborati su file da parte degli allievi, dalle enciclopedie polverose delle biblioteche di istituto a Internet e/o Wikipedia et alii. Quindi, volendo parafrasare Olson, i computer sono diventati delle vie opzionali per raggiungere lo stesso scopo (perché mi devo imbrattare di gesso quando posso scrivere o far scrivere su una tastiera?). Ovviamente la colpa non è del tutto attribuibile agli insegnanti o ai ragazzi. Manca, infatti, nel nostro sistema di istruzione e formazione, una seria analisi sui presupposti pedagogici nell’utilizzo delle tecnologie come mezzi per raggiungere obiettivi educativi. La domanda o le domande che ci si deve porre non sono, a mio avviso, “Che cosa fa questa tecnologia o questo strumento?” oppure “Che cosa posso fare con questa tecnologia o questo strumento?”, bensì “Che cosa (come) posso imparare / insegnare usando (con l’aiuto di) questa tecnologia o questo strumento?” oppure “Come posso usare questa tecnologia o questo strumento per imparare / insegnare?”. Sembrano frasi banali, ma non lo sono. Un approccio di questo tipo capovolgerebbe completamente la prospettiva, ponendo la didattica e l’apprendimento in una posizione predominante, lasciando alle tecnologie il ruolo di facilitatori o catalizzatori. Anni fa le nostre scuole hanno ricevuto ingenti finanziamenti per attrezzare dei laboratori informatici e/o linguistici. Mi piacerebbe conoscere, oggi, la reale percezione che dirigenti scolastici, docenti, allievi, genitori, personale ATA hanno di questi strumenti. Li sentono integrati nella normale attività didattica quotidiana o sono solo degli “attrezzi” di svago e da utilizzare “per realizzare qualcosa da mostrare al sindaco o all’assessore di turno quando vengono a farsi un giro nella nostra scuola?”. Sto seguendo con interesse l’evolversi del Progetto Cl@assi 2.0, sperando che non si risolva in un ennesimo canale per “obbligare” le scuole a rinnovare il loro parco tecnologico, magari acquistando una o più lavagne interattive multimediali (LIM), con il rischio che il “giocattolo”, dopo l’entusiasmo iniziale, passi di moda e faccia la fine dei computer nei laboratori che, giorno dopo giorno, si ricoprono della polvere dell’indifferenza didattica. Olson, comunque, sosteneva anche che i mezzi della comunicazione e dell’istruzione si rapportano ad altrettanti modi di essere intelligenti: le diverse intelligenze (Gardner) possedute dall’individuo sono legate alle specifiche abilità richieste e prodotte dai singoli media, così come esistono diverse culture nelle diverse collettività umane a seconda dei media prevalenti utilizzati (fonte: Varisco, 2000). Anche questo mi pare un aspetto cruciale che merita di essere approfondito, poiché non va mai dimenticato che il fine dell’insegnamento non è stupire i ragazzi con effetti speciali (cito, impropriamente, lo slogan di una pubblicità cult dei mitici anni ‘80 del secolo scorso), quanto piuttosto quello di prepararli a un apprendimento permanente che non si esaurisce all’inizio del mese di giugno o dando le spalle al professore barbuto e alieno in un’aula universitaria dopo aver conquistato la sua agognata firma sul libretto, ma prosegue ogni momento, ogni giorno, ovunque.
Iscriviti a:
Post (Atom)