mercoledì 22 febbraio 2012

La scuola che si racconta

Breve post per segnalare la bellissima iniziativa "Storie di didattica: la scuola che si racconta", che nasce come progetto formativo e di sviluppo professionale per i membri del fortunato network "La scuola che funziona". Il progetto intende prendere spunto dalle pratiche reali di insegnamento (narrazioni / storie) con lo scopo di far accrescere lo sviluppo professionale dell'insegnante che "fa leva sulla riflessione intorno alla propria (ma anche altrui) pratica. Attraverso la narrazione l'insegnante 'studia' se stesso (non un libro) ed 'insegna' a se stesso (non è insegnato da terza persona)" (citazione dal portale ufficiale). Il progetto si inserisce nel solco di una recente corrente teorica denominata "Il pensiero degli insegnanti", in cui il profilo del docente si caratterizza per un netto passaggio dall'expertise tecnica alla pratica riflessiva come nuova identità professionale. L'insegnate diventa ricercatore e non agisce in solitudine, ma dialoga con gli altri (costruendo e partecipando a comunità di pratica in presenza o virtuali, come nel caso di specie), perché il discorso, per essere definito vivo, ha bisogno di essere comunicato e condiviso.
In basso il video di descrizione del progetto. Plaudo all'iniziativa e la sottoscrivo: docenti, formatori, educatori, accorrete numerosi a raccontare le vostre storie.

Il progetto ha anche una pagina Facebook.



Segnalazione n. 2: finalmente Helen Barret si è dedicata a sviluppare un esempio di e-Portfolio anche per le lingue, utilizzando "Google sites". Il tool contiene strategie per documentare le abilità di produzione e ricezione scritta e orale tramite l'uso di tecnologie di rete. Il lavoro prevede un affinamento progressivo e merita di essere seguito, in quanto questo filone può avere una serie di interessanti sviluppi nella glottodidattica.

Segnalazione n. 3: anzi questa è un'autosegnalazione e un appunto personale. Tramite Caterina Policaro, segnalo un post sulle parole "Web 2.0 e social media". Si tratta, per me, di un ulteriore conforto sul fatto che forse non ero così fuori strada quando, all'inizio del percorso di dottorato, "incautamente" sostituii, oralmente e per iscritto, l'espressione "Web 2.0" con "social web" (intitolando, in questo modo, anche un paragrafo della tesi).