venerdì 19 febbraio 2010

Il docente nell’era dei network digitali

Il ruolo del docente nell’epoca dei network digitali è destinato a cambiare. George Siemens, il teorico del connettivismo, ritiene che l’apprendimento sia strettamente legato alla nostra capacità di creare connessioni con persone, idee e concetti (alcune delle quali possono essere deboli e non produrre risultati), anche attraverso tecnologie di rete. Queste non rappresentano una novità in termini sostanziali, quanto piuttosto l’estensione delle modalità di produzione e trasmissione della conoscenza che l’uomo ha da sempre cercato di potenziare negli ultimi 500 anni. Il connettivismo, quindi, si pone l’obiettivo di spiegare gli effetti delle tecnologie sul nostro modo di vivere, di comunicare e, soprattutto, di apprendere. Al di là delle implicazioni pedagogiche (consiglio l’articolo di Calvani, “Connectivism: new paradigm or fascinating pot-pourri?”, per una visione critica della teoria), il docente è comunque portato a confrontarsi con il nuovo modo di relazionarsi dei suoi allievi. A questo proposito, credo sia utile la lettura di un articolo dello stesso Siemens tratto dal suo blog, “Teaching in Social and Technological Networks”, che tratta l’argomento. In breve, a suo parere, “social and technological networks subvert the classroom-based role of the teacher”; quest’ultimo si trova, quindi, a dover acquisire nuove competenze quali: “amplifying, curating, wayfinding and socially-driven sensemaking, aggregating, filtering, modeling, persistent presence”. Di seguito una video-intervista (in inglese) a Siemens sulla teoria del connettivismo.


giovedì 18 febbraio 2010

Tecnologia buona, tecnologia cattiva

Il tema, ancora una volta, è controverso e opinabile. Tornando da Macerata con alcuni colleghi, abbiamo discusso la questione, partendo dalla parafrasi di un assunto di McLuhan sulla televisione, che è diventato: “non è la tecnologia a essere buona o cattiva ma è l'uso che se ne fa”. Si tratta, come è chiaro, di una posizione neutrale o meglio “non invasiva”, ma guardando la storia dell’uomo non è poi del tutto distante dalla verità. Alcuni esempi. I nostri antenati potevano usare lance e spade per cacciare, tagliare pietre e/o legno, ma anche per uccidere; la stampa è stata, forse, la più grande conquista dell’umanità, ma spesso è usata per distruggere, piuttosto che per costruire; i mass media permettono una partecipazione globale ai fatti della storia, ma sono anche lo strumento principale di cui i regimi dittatoriali o debolmente democratici si servono per plagiare le folle. E poi com’è comico l’atteggiamento di chi sentenzia: “Io leggo i libri e i giornali perché Internet non è affidabile”. Libri e giornali sono fatti di carta. Cos’è la carta se non un altro tipo di tecnologia? Anzi è la tecnologia che noi, “immigrati digitali”, conosciamo meglio in quanto siamo nati nella sua "era". Qualcuno, inoltre, potrebbe sottolineare come il profumo della carta stampata o del libro antico non siano paragonabili allo schermo di un PC. Vero, ma come contraddire un “nativo digitale” che, capovolgendo la questione, esprima la sua preferenza per le interfacce user-friendly e amichevoli dei social network? Un ulteriore interlocutore potrebbe, infine, far notare che, a volte, i nuovi strumenti di comunicazione possono ritorcersi contro di noi, come racconta un articolo di Repubblica. Il pezzo tratta del rischio di come l’abitudine a fornire informazioni su Twitter, anche sulla nostra posizione, per esempio il non essere in casa a una certa ora, possa dare la giusta imbeccata ai malintenzionati sul momento giusto in cui svaligiare le nostre abitazioni, come pare sia successo ad alcuni noti personaggi d’oltre oceano. Il termine tecnologia, quindi, è molto ampio e comprende tutti gli strumenti che gli uomini hanno usato e usano per migliorare la propria condizione e per modificare il mondo circostante. La mia opinione al riguardo è banale, ma mi sembra la più adatta per definire le tecnologie, soprattutto in campo educativo, e rimanda alla parafrasi dell’assunto di McLuhan. Da questo punto di vista, un mio collega ha giustamente sottolineato come si possa fare della cattiva didattica sia con sia senza le tecnologie. Non è importante, allora, il “giocattolo”, ma il valore aggiunto che questo riesce a fornire al processo educativo e il modo in cui l’insegnante lo integra nell'attività didattica quotidiana, nella sua continua ricerca di metodi e tecniche per migliorare i risultati della sua azione formatrice.