domenica 20 marzo 2016

Diario di un apocalittico e integrato in fabula che aveva aperto una bustina misteriosa a pendolo su un'isola di boschi di rose

Questo è un post su Umberto Eco. Non è eccessivamente lungo, ma se avete le scatole piene dei ricordi e delle sue citazioni che continuano a riempire i social, non leggetelo. Andate al bar, fumate una sigaretta, uscite con il fidanzato/marito o la fidanzata/moglie, scorrete fino allo sfinimento oculare la bacheca di Facebook, accendete il televisore, aprite un libro. Insomma fate quello che vi pare, ma non leggetelo. Cos'è, quindi? Un altro ricordo? Un omaggio? Un articolo? Non ne sono sicuro. Sono partito da un'immagine (come lui raccontò in un'intervista a proposito della genesi del suo romanzo più famoso) e ho iniziato a scrivere, senza dimenticare, però, alcuni dei suoi consigli: documentarsi, confrontare, leggere e divertirsi nel farlo, così come nell'assaporare il sottile piacere della riscrittura.

Nei primi giorni dopo la sua morte, molte sue riflessioni sono state riprese e riportate ovunque. Alcune su tutte: quella del settantenne che se legge avrà vissuto migliaia di anni; quella delle 40 regole per scrivere bene; quella sulle legioni di imbecilli che infestano i social, Twitter in particolare (su cui tornerò in chiusura). In molti casi, la prima è stata copiata e incollata da chi ha letto l'ultimo libro qualche anno fa; la seconda da chi usa allegramente punteggiatura e sintassi; la terza da chi, commentandola in maniera scivolosa, gli dà ragione. In poche parole, dopo la sua dipartita, il professore è diventato, improvvisamente, direi, uno di noi. Fino a qualche tempo fa, invece, era un anziano e distinto signore dalla erre moscia con borsalino, sigaro e bastone (vari tipi di bastone, di cui, pare, fosse orgoglioso), molto snob, molto spocchioso, molto ricco, molto famoso e molto ignorato.
 
Umberto Eco, ovviamente, non è stato solo "Il nome della rosa", anche se, invero, questo romanzo gli ha garantito una fama e una popolarità planetaria, mai venuta meno dal 1980, anno della sua pubblicazione. Egli è stato innanzitutto un uomo libero e poliedrico che è riuscito a occuparsi di svariati argomenti lasciandoci, per ognuno di essi, tracciati più o meno compiuti che è necessario studiare con attenzione se vogliamo sperare di comprendere appieno il prisma Umberto Eco. I suoi interessi hanno spaziato da Aristotele a Borges e a Joyce, da Sant'Agostino ai mass media, dallo strutturalismo all'amatissimo Gérard de Nerval, dal cabalismo ebraico ai fumetti e alla fantascienza, dalle analisi dei movimenti politici alle teorie sui complotti e ai falsi, dal terrorismo all'editoria multimediale (si veda, a questo proposito, il progetto Encyclomedia), dall'estetica medievale alla cultura di massa, dai personaggi Disney a Pierce. Il titolo di questo post, pertanto, è una modesta composizione di alcune delle sue opere per omaggiare la sua vastissima ricchezza culturale: si riconoscono "Diario minimo" e "Secondo diario minimo", "Apocalittici e integrati", "Opera aperta", "Lector in fabula", "La bustina di minerva", "La misteriosa fiamma della regina Loana", "Il pendolo di Foucault", "L'isola del giorno prima", "Sei passeggiate nei boschi narrativi" e, per finire, naturalmente, "Il nome della rosa".

I ricordi, le immagini e le innumerevoli testimonianze hanno descritto aneddoti e lati del suo carattere; si sono soffermati sui suoi contributi principalmente alle scienze della comunicazione e alla semiologia; hanno sottolineato i suoi meriti, le sue onorificenze, i premi, le milioni di copie vendute. Insomma, hanno tentato di raccontare e descrivere il personaggio, il professore, l'uomo Umberto Eco a tutto tondo. Nel mio piccolo, voglio dedicare questo pensiero a noi e cioè al ruolo importante che lui ha voluto ritagliare al lettore in tutta la sua sterminata produzione narrativa e saggistica. Va detto, a onor del vero, che approcciare un libro di Umberto Eco non è come andare dal salumiere sotto casa e ordinare un etto di prosciutto. E' necessario studiare prima, durante e dopo, poiché ogni sua opera è una porta che si apre su altre porte, è una finestra su un tempo, nostro o passato, che ci consente una posizione privilegiata per coglierne sfumature e regali nascosti. I suoi lavori sono legati l'uno all'altro da corde tese e ben strette, tanto che è necessario non perdere mai di vista dettagli e posizioni critiche per evitare di perdersi e mancare di assaporare la dottrina, la percezione, il passo, i salti, le scelte, gli alambicchi del suo genio.
 
Uno dei più grandi meriti di Umberto Eco è stato quello di portare una ventata di aria fresca nell'ammuffito, eburneo e ristretto cenacolo degli intellettuali italiani, mettendo in atto una vera e propria contaminazione tra la cultura accademica e la cultura cosiddetta di massa e ponendole, di fatto, sullo stesso piano. Già a partire dagli anni ’60, egli ha mescolato a suo piacimento ingredienti “alti” e “bassi” per osservare il risultato e superare la rigida gerarchia dei saperi come chiave per la comprensione dei meccanismi della cultura "popolare". In narrativa, si è divertito a effettuare un'operazione similare, tant'è che i suoi romanzi possono essere letti a diversi livelli di comprensione. “Il nome della rosa”, per esempio, può essere apprezzato da una portinaia come un avvincente libro giallo, mentre un accademico può scorgervi elementi di avanguardia critica. Come ha detto lo stesso Eco in un’intervista televisiva, si tratta della cosiddetta teoria del double coding, elaborata da alcuni critici americani come trend di una certa letteratura dagli anni ’80 in poi, anche se in realtà esisteva già da secoli. E per dimostrarlo ha riportato un aneddoto di Boccaccio: una mattina Dante Alighieri mentre passeggiava per le strade di Firenze sentì un fabbro citare e storpiare passi tratti dalle sue opere durante il suo duro lavoro quotidiano. A quel punto, il sommo poeta, infuriato, sparpagliò per terra gli strumenti dell'artigiano giustificando quel gesto come una vendetta di pari grado nei suoi confronti per avergli rovinato i versi. Perciò, se il fabbro declamava la Divina Commedia è probabile che fosse in grado di comprendere le immagini generali, come ad esempio quella di Caron Dimonio con occhi di bragia, anche senza cogliere le allusioni teologiche e politiche, quelle riservate a un altro tipo di lettore.
 
Il lettore dunque, o meglio, noi lettori come parte integrante delle sue riflessioni teoriche e del suo agire creativo, a cui ha suggerito di diffidare degli scrittori che affermano di scrivere solo per sé stessi, poiché, a suo dire, sono narcisisti, disonesti e mendaci: "C'è una sola cosa che scrivi per te stesso, ed è la lista della spesa. Ogni altra cosa che scrivi, la scrivi per dire qualcosa a qualcuno. Si scrive solo per un lettore. Infelice e disperato chi non sa rivolgersi a un lettore futuro" ("Sulla letteratura", p. 359). Ezio Mauro, nello speciale de "La Repubblica" del 21/02/2016 a lui dedicato, sintetizza al meglio la sua grande verve narrativa nella "capacità di costruirsi lettori, accendendo una passione, portandosela dietro fino a scoprire l'eresia estrema, una risata come movente di un delitto". Questo è dovuto grazie a un percorso rigorosamente controllato nella formazione del romanzo che "corrisponde perfettamente alla costruzione intellettuale di sé: dunque suona autentico, senza forzatura". Lo stesso Eco, in un'intervista concessa tempo fa al medesimo quotidiano, ha affermato che "oggi diventa popolare un libro difficile perché sta nascendo una generazione di lettori che desidera essere sfidata" e che "il libro è molto più intelligente del suo autore. Il lettore può trovare riferimenti cui l'autore non aveva pensato. Non credo di avere il diritto di impedire di trarre certe conclusioni. Ma ho il diritto di ostacolare che se ne traggano altre". Ed è a questo concetto che lui ha lavorato fin dal suo primo saggio dirompente, "Opera Aperta", del 1962, appunto dedicato a dimostrare che tutte le opere sono “aperte” a tante interpretazioni quanti sono gli interpretanti, anche se tale operazione ha, comunque, dei limiti che coincidono con i diritti del testo e della sua strategia comunicativa il cui scopo è aiutare il lettore a compiere una serie di operazioni per comprendere, in maniera fondata, il significato del testo stesso; "questo non significa che su un testo si possa fare una e una sola congettura interpretativa. In principio se ne possono fare infinite. Ma alla fine le congetture andranno provate sulla coerenza del testo e la coerenza testuale non potrà che disapprovare certe congetture avventate" ("I limiti dell'interpretazione", p. 34). In ogni caso, un testo, per sua natura, è sempre incompleto e contiene zone d’ombra e spazi vuoti che rimangono tali se il lettore non interviene direttamente per riempirli, attingendo dalla sua enciclopedia personale, cioè dal suo bagaglio culturale e dall'esperienza che egli ha di altri testi; in estrema sintesi, il lettore riempie un'opera se inizia a "cooperare" con l’autore affinché la comunicazione testuale giunga a buon fine. Questo è il ruolo, il compito e l'onere del "Lettore modello". Dice Eco: "Il lettore modello non figura solo come qualcuno che coopera e interagisce col testo: in misura - e in un certo senso minore - nasce col testo, rappresenta il nerbo della sua strategia interpretativa. Pertanto la competenza dei Lettori Modello è determinata dal tipo di imprint genetico che il testo ha loro trasmesso...Creati col testo, imprigionati in esso, essi godono tanta libertà quanta il testo loro concede [...] In tal senso parlerò di lettore modello non solo per testi aperti a molteplici punti di vista, ma anche per quelli che prevedono un lettore testardo e obbediente; in altre parole, non esiste solo un lettore modello per il "Finnegans Wake" ma anche per l'orario ferroviario, e il testo si aspetta da ciascuno di costoro un diverso tipo di cooperazione" ("Sei passeggiate nei boschi narrativi", p. 20-21). Tra le pieghe di questo stretto e intenso rapporto tra lettore e autore, si nasconde una regola tacita, una sorta di "patto finzionale" grazie al quale il lettore, parafrasando Coleridge, si predispone a sospendere la propria incredulità, si convince che la storia raccontata è immaginaria, ma non è una menzogna, e fa finta di considerare realmente accaduto il fatto narrato e i luoghi in esso descritti. Quando ciò si realizza, la cooperazione interpretativa sale di livello e il godimento del testo è completo.

Di seguito, trascrivo un passo esemplificativo sui luoghi e sulle verità letterarie. "Questi luoghi non eccitano la nostra credulità perché, per il contratto finzionale che ci lega alle parole dell'autore, pur sapendo che non esistono, facciamo finta che siano esistiti - e partecipiamo da complici al gioco che ci viene proposto. Sappiamo benissimo che esiste un mondo reale, in cui è avvenuta la seconda guerra mondiale o gli uomini sono andati sulla luna, e che esistono poi i mondi possibili della nostra immaginazione, in cui sono esistiti Maigret e Madame Bovary. Una volta che, aderendo al contratto finzionale, abbiamo deciso di prendere sul serio un mondo possibile narrativo, dobbiamo ammettere che Biancaneve è stata risvegliata dal suo letargo da un principe Azzurro, che Maigret abita a Parigi in Boulevard Richard-Lenoir, che Harry Potter ha studiato da mago a Hogwarts, che Madame Bovary si è avvelenata. E chi affermasse che Biancaneve non si è mai più risvegliata dal suo sonno, Maigret abita in Boulevard de la Poisonnière, Harry Potter ha studiato a Cambridge e Madame Bovary è stata salvata in extermis con un contravveleno dal marito, susciterebbe il nostro dissenso (e magari verrebbe bocciato a un esame di letteratura comparata) [...] La verità della finzione romanzesca supera la credenza sulla verità o falsità dei fatti narrati [...] In questo nostro universo ricco di errori e di leggende, di dati storici e di false notizie, una cosa è assolutamente vera se lo è tanto quanto il fatto che Superman è Clark Kent. Tutto il resto può essere sempre rimesso in discussione" ("Storia delle terre e dei luoghi leggendari", p. 436-437, 440, 441).  
 
In conclusione, e per amor di verità, posto di seguito il video completo della famosa frase sulle "legioni di imbecilli" che in tanti di questi ha provocato reazioni sdegnate e saccenti (a costoro consiglio di leggere "Apocalittici e integrati" e molte delle sue bustine come utile strumento per comprendere le dinamiche degli utenti social) richiamandoli a porre attenzione a tutto il contesto del discorso, evitando generalizzazioni. E per questo è bene chiarire che Umberto Eco non è mai stato contro il web in generale, ma ci ha sempre esortati a confrontare e verificare le fonti contro la superficialità dilagante del titolo e delle prime righe, oltre a segnalarci il rischio dell'ipertrofia della memoria, come ha scritto nella sua celebre e toccante lettera al nipote. In buona sostanza, come ha ben spiegato il semiologo Paolo Fabbri nella trasmissione andata in onda il 23 febbraio scorso su RAI 5, "Eco era uomo dello humor (e non dell'ironia) e derideva le conseguenze. Il discorso degli imbecilli era la derisione delle conseguenze di Internet. Lui stava deridendo le conseguenze del fatto che tutti hanno accesso e possono dire tutto senza rispettare la gerarchie dei livelli del discorso".

 

martedì 14 gennaio 2014

La forza del capitale umano

"La ricchezza delle nazioni non dipende più dalle materie prime. O dal capitale fisico. Sta invece nel capitale umano" (Goldin, C., Katz, L.F., Race between Education and Technology, Belknap Press of Harvard University Press, 2010). Citazione desunta dall'ultimo libro di Beppe Severgnini, "Italiani di domani. 8 porte sul futuro" (RCS Libri, 2012, p. 47).
 
E ancora, Jared Diamond, nel suo ormai celeberrimo saggio "Armi, acciaio e malattie" (Einaudi, 2006), sostiene che il successo delle civiltà europee (almeno dal XVI alla prima metà del XX secolo) e della cultura occidentale in generale non è dovuto ad una presunta superiorità intellettuale o biologica, bensì a una serie di congiunture favorevoli, geografiche e ambientali, che hanno favorito lo sviluppo dell'agricoltura e la domesticazione degli animali, con la conseguente comparsa degli strumenti con i quali hanno "conquistato il mondo", appunto armi, acciaio e malattie. Pertanto, non esistono e mai sono esistite differenze intellettive tra i popoli della Terra, visto che probabilmente, a condizioni invertite, sarebbe stato Montezuma a sbarcare in Europa con navi oceaniche e a soggiogare l'impero di Carlo V di Spagna.
 
Il recente rapporto McKinsey, poi, condotto su otto Paesi Ue, ("Education to Employment: Getting Europe’s Youth into Work") contiene una serie di informazioni già note (si vedano alcune indagini ISTAT o l'allarme di Visco), ma anche una serie di novità (traduco citando l'articolo del "Corriere"): "Il 47% dei datori di lavoro italiani riferiscono che le loro aziende sono danneggiate dalla loro incapacità di trovare i lavoratori giusti, e questa è la percentuale più alta fra tutti i Paesi esaminati", "Ci sono abbinamenti sbagliati, educatori e imprenditori non stanno comunicando fra loro".
 
Si tratta solo di alcuni degli spunti che mi hanno portato a riflettere su questo aspetto. Nel nostro Paese il capitale umano, al pari di termini come "competenza" e "formazione", sembra essere una espressione ottima da sventolare in occasioni importanti, mentre la Scuola un "contenitore" fatto di numeri (quanti insegnanti assumere o tagliare, quante scuole ristrutturare, quante LIM far acquistare, ecc.). Poca attenzione viene data al capitale umano che è presente nei nostri istituti che si occupano di istruzione e formazione. E non mi riferisco solo agli insegnanti, al personale amministrativo in generale, ai dirigenti, ma ai ragazzi. Non esistono commissioni, tavoli, comitati che riuniscano le migliori menti per affrontare il problema della crescita culturale, sociale e professionale dei "lavoratori di domani" (presenti e futuri). Il capitale umano è da sempre il cuore di una civiltà e i Paesi che hanno investito con prospettive "non politiche", cioè almeno a medio termine, stanno raccogliendo i frutti (penso a Cina, Giappone, India, ma anche a Stati Uniti e nazioni scandinave). In Italia non abbiamo ancora presente un concetto, banale si dirà, ma proprio per questo difficile da mettere in pratica: istruzione, formazione e lavoro sono tre lati di un'unica figura poliedrica che ha al centro l'apprendimento permanente. Come ho già scritto, gli esseri umani apprendono sempre, ovunque, con chiunque, e, in percentuale, sicuramente più spesso fuori dalle "istituzioni preposte" (al bar, in parrocchia, al lavoro, nel tempo libero, su Internet). Tutte queste "cose" che imparano si chiamano "competenze". Il termine ha come riferimento svariate scuole di pensiero, ma, a mio avviso, la definizione contenuta nella Raccomandazione del Parlamento europeo del Consiglio del 23 aprile 2008, sulla costituzione del Quadro europeo delle qualifiche per l'apprendimento permanente (EQF), è la più completa: "comprovata capacità di utilizzare conoscenze, abilità e capacità personali, sociali e/o metodologiche, in situazioni di lavoro o di studio e nello sviluppo professionale e personale". Progettare e insegnare per competenze non rientra nel background culturale del nostro Paese a differenza, per esempio, di quelli di matrice anglosassone. Nella scuola italiana, comunque, è ormai consolidata questa impostazione nella didattica delle lingue straniere, o glottodidattica, dal 2001, anno in cui è stato pubblicato e diffuso il "Common European Framework of Reference for Languages" (CEFR), anche se poco è cambiato nella realtà dei fatti e dell'aula (si programma con il "Framework", spesso si insegna con altro). E' necessario un radicale cambio di rotta a partire dalle Istituzioni. Il Decreto Legislativo n. 13 del 16/012013 ha segnato un primo passo dopo anni di discussione tra Ministeri e Regioni, ma molto è ancora da fare e molto, però, si sta facendo, anche se l'Amministrazione centrale pone freni e distinguo. Impostare il nostro sistema nazionale di istruzione e formazione sulle "competenze" significa partire dai "saperi" a tutto tondo, senza lasciare nulla per strada. Non solo quelli cosiddetti "tecnico-professionali", ma anche quelli di base (anche qui viene in aiuto l'Unione europea con le "key competences") e quelli acquisiti tutti i giorni, tutto l'anno. Il sistema dove tutti parlano uno stesso linguaggio e le Istituzioni (Scuola, Stato, Regioni e poi Centri per l'impiego, Organismi di Formazione, ecc.) "prendono in carico" il cittadino e il suo percorso di apprendimento dalla nascita fino a una "vecchiaia attiva". La forza del capitale umano sta proprio qui, nella possibilità di essere il vero e unico motore della ripresa del Paese: il cuore e il cervello di questa nostra nazione unica, imprevedibile, a volte maledetta, ma piena di risorse, spesso nascoste, che risiedono nei suoi abitanti, da nord a sud, nelle grandi città come nei piccoli centri.
 
Chiudo con una citazione di Alvin Toffler che, a mio parere, andrebbe messa in ogni Ufficio di Presidenti, Ministri, Assessori, Sindaci: "Gli analfabeti del XXI secolo non saranno quelli che non sapranno leggere e scrivere, ma quelli che non saranno in grado di imparare, disimparare e reimparare" ("The illiterate of the 21st century will not be those who cannot read and write, but those who cannot learn, unlearn, and relearn", The future shock, 1970).

 

venerdì 22 febbraio 2013

Deliri al capolinea

Le norme ci sono e vanno rispettate e, quindi, questo post, che segue quello sul "Mito del rutto libero", esce entro le 23:59 del 22/02/2013, prima del silenzio elettorale. E' stata una campagna per molti versi noiosa e come sempre urlata, con tutti ad accusarsi a vicenda, che mi ha lasciato in bocca il sapore amaro di un'ennesima occasione sprecata. Di solito, l'elettore, per vari motivi, tende a dimenticare cosa è successo nelle settimane precedenti, per concentrarsi solo sugli ultimi giorni. Non dovrebbe essere così, ma tant'è succede da sempre.

Questo post altro non è che un semplice riassunto dei "Delirium elettorali" (o pillole elettorali, se vi piace), anche per chi ne avesse perso qualcuno, che di volta in volta ho lasciato sul mio profilo Facebook, elencati così come sono stati scritti e corredati da qualche aggiustatina "discorsiva" e correzione di refusi e dalla data di pubblicazione. Una rassegna semi-seria delle amenità e degli atteggiamenti della nostra classe politica con un occhio alla sedia e un altro al piano B in caso di sconfitta. Se avrete voglia di leggerli, considerateli, quindi, una sorta di diario personale del sottoscritto per ripercorrere questi due mesi di campagna elettorale, ben sapendo che per conquistare gli scranni romani è lecita ogni strategia, anche contraddirsi e ri-contraddirsi, e che, in definitiva, 60 giorni sono tanti per ricordare nel dettaglio ciò che è successo.

Buon voto a tutti!
 
Delirium elettorale#1 (29/12/2012). Monti sale in politica e Berlusconi scende in campo. Io me ne resto a casa, magari in bagno, a leggere un buon libro per nutrire la mente. Candidatissimi, fatelo anche voi poiché "fatti non foste per viver come bruti ma per seguir virtute e canoscenza". Affannati.
 
Delirium elettorale#2 (29/12/2012). Leggo di un "endorsement a Monti" da parte del Vaticano. Non conoscendo bene il senso della parola (mi vergogno a dirlo), ho pensato, sulle prime, a un qualche tipo di esame del retto. Poi con la traduzione ho capito. Effettivamente, scrivere "appoggio a Monti" avrebbe dato una sensazione anale più marcata. Forse "sostegno" andava meglio. Mattacchioni.
 
Delirium elettorale#3 (31/12/2012). Hogwarts, inizio torneo annuale di Quidditch: Grifondoro vs. Serpeverde. Berlusconi al fianco di Albus Silente dà il via alla manifestazione, minacciando inchieste contro Monti, Napolitano e spread. Dalle tribune partono decine di schiantesimi che lo mettono fuori combattimento fino ai primi di marzo. Drrriiiiiinnnnn: implacabie, suona la sveglia. Sogno.
 
Delirium elettorale#4 (02/01/2013). ADN Kronos. Berlusconi "Toglierò l'IMU". Da fonti vicine ad Arcore, pare che un solerte e fidato collaboratore del cavaliere lo abbia rassicurato che l'IMU altro non è che un indumento intimo femminile. Da ciò il suo accanimento. Viagra.
 
Delirium elettorale#5 (03/01/2013). Elezioni 2013: c'è l'agenda Monti, l'agenda Bersani-Vendola, l'agenda Grillo, l'agenda di Berlusconi (beh, in realtà quella contiene solo numeri di olgettine o aspiranti tali). A me serve un calendario da tavolo. Il mio voto a chi me ne procura uno. Anzi, se sono due, recupero anche il voto di mia moglie. Venghino, signori. Venghino! Baratto.
 
Delirium elettorale#6 (04/03/2013). Monti presenta il suo simbolo e la sua lista come se desse le condoglianze, Berlusconi farnetica su reati e par condicio, Bersani e Renzi gozzovigliano insieme, Casini e Fini si preparano a vendersi al miglior offerente, Montezemolo fa lo sciopero del caviale, Grillo continua a bagnare gli ascoltatori con ettolitri di saliva e, intanto, parte il nuovo redditometro. Scomparsi milioni di cetrioli dai fruttivendoli di tutta Italia alla ricerca di orifizi da occludere. Scommettiamo che saranno sempre i soliti? Così come i soliti noti la rifaranno franca? Vasellina.
 
Delirium elettorale#7 (05/01/2013). Avviso a tutti. Scoop del "Sole 24Ore". Uno dei tool del nuovo redditometro si chiama "Corpo sciolto checker". Sarà installato nelle fogne di tutta Italia e avrà il compito di valutare le attività intestinali delle famiglie: in base alla quantità verrà stabilito, tramite un complesso algoritmo elaborato da Google, il reddito familiare e le spese per l'alimentazione. Stitici e colitici dovranno produrre adeguato certificato medico per l'analisi dei dati. Sciacquoni.
 
Delirium elettorale#8 (06/01/2013). Stamattina alle 12 al gazebo del movimento di Grillo al Parco di Poggio Tre Galli c'erano tre persone: un oratore appassionato, un ascoltatore inebetito e un signore attento .... al telefonino. A me, comunque, l'unico che mi fa vibrare è il negozio di gastronomia "5 stelle" da cui mi servo e le sue ottime mozzarelle di Ruoti. Deserto.
 
Delirium elettorale#9 (11/01/2013). Concordo con Aldo Grasso, con un'aggiunta. Santoro e Travaglio hanno aspettato più di dieci anni, ma si sono fatti fregare dal caimano che li ha portati sul suo terreno di scontro preferito: la rissa da bar o se preferite l'atmosfera populistica di Uomini e donne o di Barbara d'Urso. Cartucce bagnate.
 
Delirium elettorale#10 (11/01/2013). Stride impietosamente la differenza tra l'insulso spettacolo di ieri sera (Berlusconi da Santoro) e l'enormità del talento di Mariangela Melato che abbiamo perso. Doppia tristezza.
 
Delirium elettorale#11 (11/01/2013). Moggi pare si voglia candidare con una lista collegata al PdL: allora calciopoli era tutto vero. Ha scelto il cuore dirà, già con i Berluscones corrotti e corruttori è proprio a casa sua. Resuscitato (aggiornamento: pare non si sia candidato, meno male).
 
Delirium elettorale#12 (14/01/2013). ANSA. Berlusconi: "Non vado nelle piazze. Ne va della mia incolumità". Notizia fondata secondo il SISDE. Pare che il direttivo del "M5T" (Movimento 5000 Tartaglia) abbia fornito i suoi membri di statuette del Duomo di Milano con guglie affilatissime per portare a termine il lavoro iniziato dal fondatore. Assediato.
 
Delirium elettorale#13 (15/01/2013). Di Pietro in TV mi fa molta tenerezza. Ha la faccia di chi, come si dice dalle mie parti, "ha fatt la fin d'i bott'amur". Grillo, dal canto suo, fa i dispettucci al "traditore" Favia, mostrando all'Italia la sua vera natura di leaderuccio tiranno stile presidente di uno stato africano, nonostante blateri di trasparenza e Internet (ve lo ricorsdate quando sfasciava i PC in pubblico, proprio su Sky, allora Tele+?). Mi verrebbe da dirgli: "Te la do io la democrazia". Ruzzoloni.
 
Delirium elettorale#14 (16/01/2013). Il pifferaio (berlusca) e il vampiro (Monti) si rimpallano IMU e redditometro, scaricandosi il barile della responsabilità. "Queste due tasse senza padri (orfane)" (cfr. "Corriere della Sera") rischiano di far diventare l'ortaggio (cetriolo) oltre che nodoso anche bollente. Gli orifizi dei contendenti attendono trepidanti. Tappabuchi.
 
Delirium elettorale#15 (16/01/2013). Suggerisco di assistere a una seduta del Consiglio Regionale della Basilicata, in presenza, in streaming o in differita, fa lo stesso, come allenamento preventivo per il cervello. Tra frizzi e lazzi, schiamazzi e sollazzi, battute ed espressioni dialettali, consonanti libertine e vocali bohémien, trionfa l'intercalare. Il più usato? "Diciamo" (attenzione a forzare la "D" nella pronuncia). Da far vedere nelle scuole per insegnare ai ragazzi a come non mortificare la nostra bella lingua italiana. Sfigati.
 
Delirium elettorale#16 (18/01/2013). Maroni: "Il 75% delle tasse al nord". Sommessamente, rispondo: "Il 75% dello stipendio dei barbari in verde seduti sugli scranni romani fatevelo pagare dai cittadini padani". Poi voglio vedere se alla cerimonia dell’ampolla vengono i gitaioli della domenica o contadini del varesotto o del bresciano armati di forconi per prendere Maroni &C. a calci nel sedere. Pistola.
 
Delirium elettorale#17 (19/01/2013). Anni fa, in un suo film, Moretti implorava D'Alema pressappoco così: "Dì qualcosa di sinistra". Modestamente mi permetto di suggerire a Bersani-Gargamella (il soprannome è di Grillo, l'unica cosa decente detta che, guarda caso, è una battuta da comico): "Ridi un pò di più, spogliati dell'atavico pessimismo degli intelletuali sinistroidi e cerca di trasmettere speranza per il futuro". Ah, quanto mi piacerebbe che dicesse qualcosa con la stessa forza evocativa di "Yes, we can". Musone.
 
Delirium elettorale#18 (20/01/2013). Grillo, tra un bercio, uno sputo e un vaffa, urla di voler eliminare i sindacati. In linea teorica sarei pure d'accordo, visto che, soprattutto nel pubblico, tendono a difendere interessi corporativi fino al privato. Ma vedo due problemi: 1. chi difende i lavoratori dagli emuli di Marchionne? 2. molti comandati, poveretti, saranno costretti a lavorare, tornando ai loro impieghi. Ducetto.
 
Delirium elettorale#19 (20/01/2013). Ma li avete visti i candidati del montato Monti alla convention di Bergamo? Sembrano usciti da un salotto buono di Via Montenapoleone. Ma se protestano questi cosa lanciano? Tartine con caviale e bulloni di Ferrari e Lamborghini? Fricchettoni. 
 
Delirium elettorale#20 (21/01/2013). Avverto sempre un senso di malessere quando un movimento politico si richiama a una "rivoluzione", anche se civile, a metafore militari (vero Monti?) o a cataclismi naturali (sarebbe stato meglio che il comico-politico non avesse usato il termine "tsunami", visto che nel 2004 hanno perso la vita 250 mila persone). La storia ci insegna che, spesso, le rivoluzioni (o come le volete chiamare) si sono trasformate in quello che volevano combattere. Non è tutto da buttare in questo nostro Paese e tagliare la testa al re non è mai stata la soluzione migliore. Ghigliottinari.
 
Delirium elettorale#21 (22/01/2013). Psicodramma per lo psiconano. Il PDL tenta disperatamente di sbiancare l'anima nera del partito, non candidando Cosentino e Dell'Utri (che giurano vendetta). Ora aspettiamo la caduta del lifting plastificato di Berlusconi per vedere la sua vera faccia. Rifatto.
 
Delirium elettorale#22 (22/01/2013). Sapete chi sono i "Manifestzkul"? Una delle razze del mondo tolkeiniano. Eh, sì. Assieme a hobbit, nani, uomini, elfi, orchi e mannari ci sono anche loro. Sono i geni che inventano gli slogan elettorali sui manifesti 3x6. Propongo una ricerca neuroantropologica per indagare sulle loro sinapsi e scoprire come fanno a inventare frasi idiote, ridicole, grottesche, soprattutto per quelle facce insulse che intendono promuovere. Mi verrebbe da dire in dialetto brianzolo: "Mi pigghiat p'u cul"? Taroccati.
 
Delirium elettorale#22bis (22/01/2013). A proposito, sui muri della nostra città (Potenza) campeggiano manifesti inquietanti di un movimento denominato MIR (come la stazione spaziale russa) con in primissimo piano la faccia di uno che assomiglia a Putin. Ma non è che hanno sbagliato elezioni? Quelle per la Duma saranno nel 2015. Disorientati.
 
Delirium elettorale#20bis (23/01/2013). Torno indietro perché è un tema che mi tocca. Monti evidentemente fa il furbastro. Cita ogni tanto il termine rivoluzione. Questa volta associato a "liberale". Sento puzza di zolfo. Anzi, puzza di rancido. E' il tanfo delle conquiste sociali, su sanità, pensioni, disoccupati, lavoro, inclusione, che lui spera di far marcire in maniera indefinita. La Bocconi, signori, non è Alessandria d'Egitto e i suoi figli non sono portatori sani del vangelo universale. Mistificatore.
 
Delirium elettorale#23 (25/01/2013). Nella vicenda Monte dei Paschi c'è qualcosa che non quadra. Il PD dovrà spiegare se vuole governare il Paese. Monti fa il Berlusconi. Strizza l'occhio prima a uno e poi all'altro. Bacchetta uno e l'altro. Insomma si vende. O tenta di farlo. Ma mi domando: nei 13 mesi di Governo, oltre a mungere i molti (lasciando ingrassare i pochi), aveva gli occhi e le orecchie foderati di prosciutto? Verità.
 
Delirium elettorale#24 (26/01/2013). Se è vero che una parte del gettito dell'IMU (sangue degli italiani) è finita al MPS, a chi ha fatto questa pensata e a chi ne ha tratto giovamento auguro, usando una colorita espressione delle mie parti, "Ve l'avira spenn r medicin". A proposito, mia figlia quando vede Berlusconi esclama "cuto" (che sta per "cornuto"). Soddisfazioni.
 
Delirium elettorale#24bis (27/01/2013). Nel giorno in cui viene certificata la demenza senile di Berlusconi, ricordiamo tutti i genocidi: ebrei, armeni e zingari, Rwanda e Burundi, cambogiani sotto i kmer rossi, birmani, cinesi vittime delle epurazioni di Mao, cileni e argentini sotto le dittature fasciste, e ancora Sudan, Somalia, Medio Oriente, Iraq, Afganistan e tutte le vittime dei conflitti dimenticati nel mondo. Quando caino uccide Abele è sempre male. Quando lo fa per politica, petrolio o altre ragioni, fosse anche uno solo, è genocidio. Orrori che non devono più ripetersi. Preghiere.
 
Delirium elettorale#25 (02/02/2013). Come vorrei che la campagna elettorale fosse già finita e si andasse a votare domani. Usando una tipica espressione ligure: "Nun i pozz vrè cchù" (per i non indigeni: "Non li posso più vedere"). Stufato.
 
Delirium elettorale#26 (03/02/2013). Avviso agli sciatori (dato il clima qui fuori) e non ai naviganti. Se il CS vuole perdere deve farsi trascinare nel clima da bettola di Caracas del Caimano. Se il CS vuole vincere lo deve ignorare e parlare alla gente e fra la gente di programmi e idee (in TV o in piazza, non importa). Sveglia.
 
Delirium elettorale#27 (03/02/2013). Monti oggi: “Gli italiani hanno buona memoria”. Già, Chiar.mo Prof., per questo le ricordo che lei il 23/12/2012 (Conferenza di fine anno) diceva “Se si abolisce l’IMU, l'anno dopo bisogna riproporla due volte più dura”; mentre il 29/01/2013 (piena campagna elettorale) “L'IMU detrazione da 200 a 400 euro; detrazioni per figli a carico fino a 800 euro. Questa riforma dell'IMU renderà l'imposta più equa e più progressiva”. Io me lo segno. Fosforo.
 
Delirium elettorale#28 (04/02/2013). Lo so che bisogna ignorarlo (l'ho pure scritto), ma questa merita. Invece di condono tombale io auspico una pietra tombale, ma sulla sua ex pelata. E questo nonostante sia arrivato Super Mario al Milan. Zombie.
 
Delirium elettorale#29 (04/02/2013). Fiat: stipendio, ma niente lavoro per i 19 operai Fiom di Pomigliano. Questa è l'Italia di Monti, Marchionne, Montezemolo, Casini e Fini? A me non piace per niente. Supercazzola.
 
Delirium elettorale#30 (08/02/2013). Non mi piace quando i mercati e la finanza devono condizionare le decisioni di un Governo, democraticamente eletto, di uno Stato sovrano; non mi piace pensare al mio Paese governato da giullari e buffoni (sia quelli che berciano e sputano in piazza, sia quelli che fanno le imitazioni alle convention); non mi piace quando i magistrati lasciano la toga ed entrano in politica, per me sono disertori; non mi piace se toccano scuola, lavoro, pensioni, sanità e, con la scusa del rigore, smantellano lo stato sociale costato sangue e sudore ai nostri padri; non mi piace quando la sinistra si professa tale, ma sotto sotto la pensa come la destra. Malinconia.
 
Delirium elettorale#31 (15/02/2013). Un consiglio spassionato al candidato premier del centro - sinistra. Caro Bersani, anche se sei sfigato, come dice Crozza, credo tu sia una persona affidabile. Quando, però, pianifichi le candidature, fai attenzione alle persone a cui decidi di far rappresentare te e il tuo partito nelle varie realtà regionali italiane. Distratto.

Delirium elettorale#32 (17/02/2013). Il Grillo urlante, dopo aver scacciato in malo modo un giornalista di Rai Tre, rifiuta, papescamente, di andare in TV. "La politica si fa nelle piazze", dice con piglio militaresco. Brutte cose la democrazia, le domande e il contraddittorio, eh Peppino? Meglio sbavare con lunghi monologhi. E' più comodo, vero? Fifone.

Delirium elettorale#33 (19/02/2013). Berlusconi al Corriere della Sera: "Se c'è un politico credibile in questo Paese questo sono io: ho sempre mantenuto le promesse fatte ai cittadini". Nessun commento. Barzellettiere.

Delirium elettorale#34 (21/02/2013). Sono contento per due motivi: 1 - è giovedì e il weekend si avvicina; 2 - è giovedì e domani sarà l'ultimo giorno di campagna elettorale. Urla, schiamazzi, berci, supidaggini, prese per il c..o (vogliamo parlare dell'ultima trovata satanica del nano per ingannare soprattutto le persone anziane?), rivoluzioni, tsunami e minchiate varie volgono al termine. Da lunedì pensiamo all'Italia, chiunque ci sarà. Sollevato.


Delirium elettorale#35 (21/02/2013). Ultimo delirio. Dedicato, con tanto di video, a tutti i mestieranti della politica, agli urlatori e populisti che predicano macerie e distruzione, ai nani ingannatori e fancazzisti, ai riciclati, trombati e faccendieri speranzosi di un posto al sole, ai banchieri e alla finanza che vogliamo fuori dal Governo e dal Parlamento e a tutti quelli che con il nostro sangue e i nostri sacrifici hanno ingrassato le loro tasche dal dopoguerra ad oggi. Passato (la dedica è un brevissimo pezzo del film "Il Marchese del Grillo").

domenica 10 febbraio 2013

Il mito del "rutto libero": per un'antropologia della politica

Prendo spunto da un post di qualche tempo fa di Ernesto Belisario e Stefano Epifani, intitolato "I sudditi si lamentano, i cittadini partecipano". Da qui inizio per dire che mi sento cittadino e voglio partecipare. A modo mio, s'intende.

Il titolo del post, che rientra nelle "amenità" di questo blog, non vuole rappresentare un'offesa nei confronti di chi legge. Quindi, sgombro subito il campo. E' una specie di similitudine, diciamo così. Per intenditori. Si tratta di un riferimento al film "Il secondo tragico Fantozzi" del 1976 (quello della mitica sequenza de "La Corazzata Potëmkin", per capirci), in cui il nostro è pronto alla partita Inghilterra - Italia con un programma formidabile: "calze, mutande, vestaglione di flanella, tavolinetto di fronte al televisore, frittatona di cipolle per la quale andava pazzo, familiare di Peroni gelata, tifo indiavolato, rutto libero!". La tragica e inaspettata telefonata di Filini vanifica tutto. Il paragone ardito inzia dalla fine della sequenza: dopo una frittata di cipolle e una birra fredda, il "rutto libero" è una imprescindibile necessità fisiologica, così come la politica lo è per i popoli.

Siamo in piena bagarre elettorale. C'è eccitazione e, a ragion veduta, voglia di stupire l'elettore. I leader sembrano commercianti intenti a lucidare e mettere in bella mostra le mercanzie, anche se si tratta di collezioni di dieci anni addietro. Gli scranni parlamentari sono ambiti, molto ambiti. Le proposte sono continue, tamburellanti. Gli indecisi ondeggiano come banchi di sardine, mentre gli squali aspettano per banchettare. Tutto mi fa pensare ancora a Fantozzi e, in particolare, a uno dei suoi film in cui il protagonista si prepara al voto. La sequenza si conclude, imprevedibilmente, con il rumore dello sciacquone del bagno nel seggio elettorale.

Edward H. Carr nelle sue "Sei lezioni sulla storia" (1961) scrive "Il passato è comprensibile per noi soltanto alla luce del presente, e possiamo comprendere il presente unicamente alla luce del passato" e poi che "la storia è un dialogo senza fine tra il presente e il passato". Appunto, la questione, a mio avviso, è che il politico, di professione o no, vive nel presente, non studia il passato, non si preoccupa del futuro. Il politico non concepisce, non conosce, non ama la parola "programmazione". Egli venera un altro lemma, un verbo, "foraggiare". Per esempio, scorrendo le news pubblicate su "Basilicatanet", con al fianco una cartina della regione, anche il contadino del varesotto potrebbe facilmente intuire i feudi elettorali dei politici locali (compresi quelli alloggiati temporaneamente a Roma). Non è uno scoop, ma una constatazione geo-socio-politica che, credo, si ripete un pò dappertutto sul suolo italico.

La politica italiana è uno sport molto ben praticato. E' il secondo dopo il calcio. Ci sono professionisti navigati, dilettanti allo sbaraglio, volponi nelle retrovie, faccendieri perennemente affaccendati. Il personaggio che rispecchia maggiormente l'archetipo del politico peninsulare è Bertoldo che Severgnini così descrive nel suo "La testa degli italiani" (2005): "il contadino che s'atteggiava a difensore dell'esperienza contro l'istruzione, dell'improvvisazione contro la preparazione (...); rappresenta l'orgoglio della furbizia impunita, ed è ancora tra noi. Qualche volta si fa chiamare assessore o diventa direttore di qualcosa; quasi sempre porta la giacca e guida una bella automobile. Cambia regione, lavoro, partito: non cambia abitudini. E' affascinante e tragico, come tante maschere italiane". A me piacerebbe, invece, pensare a un Paese dove i Bertoldo piano piano scompaiono per essere relegati ad archeologia umana. Un paese dove la politica è una cosa maledettamente seria che non lascia spazio all'improvvisazione. Citando Gaber, mi piacerebbe pensare alla politica come "partecipazione", ma non come la intendono quelli che, con malcelata malinconia, affermano "Mi sono messo in politica per aiutare mio figlio" oppure "Sto dietro a un politico chissà esce qualcosa per me", o come la intendono i professionisti del genere quando usano con disinvoltura la cosa pubblica per soddisfare il proprio elettorato, a livello locale e nazionale. Partecipare, a mio modo di vedere, vuol dire confrontare, approfondire, studiare soluzioni adatte a garantire il bene comune.

Obama, nel suo discorso di insediamento, si è rifatto al passato, alle bellissime parole della Dichiarazione di Indipendenza (il passo che amo di più è: "tutti gli uomini sono creati eguali; essi sono dal Creatore dotati di certi inalienabili diritti, tra questi diritti sono la Vita, la Libertà, e il perseguimento della Felicità; per garantire questi diritti sono istituiti tra gli uomini governi che derivano i loro giusti poteri dal consenso dei governati"). A me basterebbe che il mio Paese, come direbbe Benigni, si aggrappasse, in questo momento, al prodotto più alto del suo intelletto: la Costituzione. Il luogo dove ogni domanda trova la giusta risposta. Art. 2, "La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale"; Art. 3 "È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese"; Art. 4 "Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un'attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società".

Non sono d'accordo, poi, con quelli che dicono: "Per protesta, non vado a votare". No, è una protesta stupida e puerile. Il voto è una conquista democratica ottenuta con il sudore e con il sangue di centinaia se non di migliaia di persone e per questo va messo in cima alla lista delle cose da fare. Sempre. Votare è esercitare, a pieno titolo, il diritto/dovere a una cittadinanza attiva e partecipata. La politica ideale per il mio paese riparte, banalmente direbbe qualcuno, da istruzione e formazione, lavoro, salute, ricerca, ambiente e cultura (nel senso più ampio del termine). La politica ideale per il mio paese non ha paura del futuro, perché conosce il suo passato e comprende il suo presente. La politica ideale per il mio paese è democratica, partecipata, consapevole ed entusiasta. La politica ideale per il mio paese costruisce l'avvenire sull'economia sociale e sul capitale umano. La politica ideale per il mio paese è fatta da persone che svolgono, secondo le proprie possibilità e le proprie scelte, attività o funzioni che concorrono al progresso materiale o spirituale della società. La politica ideale per il mio paese dovrebbe ripartire da qui.
  

lunedì 4 febbraio 2013

I nativi digitali non esistono

Roberto Casati nel suo pezzo dello scorso dicembre ha usato un'espressione più colorita, parlando di balla dei nativi digitali. Sommessamente, dico di essere d'accordo. E lo ripeto: i nativi digitali non esistono. In un altro post specificavo come lo stesso Prensky, l'ormai noto autore dell'articolo che teorizzava la differenza tra nativi e immigrati digitali, ha ritrattato, o meglio specificato, questa sua definizione, introducendo il concetto di saggezza digitale (digital wisdom). Anch'io, un paio di anni fa, mi feci trascinare dall'emozione. Il lavoro sul campo con i docenti mi ha chiarito le idee.

La questione qui è molto semplice. Tutti i bambini e ragazzi nati nell'era di Internet non sono, diciamo così, geneticamente predisposti e non hanno ricevuto una colomba dal Cielo - sotto forma di tweet, magari. Mia figlia maneggia telecomandi, tastiere e cellulari solo perché ne è circondata. Se la mia famiglia vivesse sull'isola di Chiloé, probabilmente sarebbe abilissima con le reti da pesca. E' il contesto il motore delle abilità, non l'innata predisposizione. Non ci sono controprove del fatto che un australopiteco o un neandertaliano, dopo un pò di pratica, non sarebbero stati in grado di far scorrere le foto, con le dita, sul display di uno smartphone touch screen. Non dimentichiamo che si tratta di individui che, dal nulla, hanno creato il fuoco, il bronzo, il ferro, la ruota. I ragazzi post 2000 non sono nativi digitali, come i nostri antenati rinascimentali non erano "nativi di stampa" (grazie a Gutenberg), o quelli della mia generazione "nativi televisivi". Se con queste espressioni si intende inquadrare storicamente alcune delle generazioni umane, allora potrebbero essere assimilate agli "ismi" della storia o critica letteraria. Se invece si vuole categorizzare ambiti cognitivi, si rischia di finire maldestramente fuori strada.

La storia delle tecnologie educative è stata già descritta ampiamente in letteratura e non è questo il luogo deputato a rifare la cronologia. Dai libri di testo / fotocopie, al magnetofono; dalle audiocassette, alle videocassette; dai DVD / Blu-ray Disk, a Internet (intesa nel suo complesso di web tool); dai PC, ai tablet e smartphone, la questione delle tecnologie eucative, come spesso viene detto, ma altrettanto spesso ignorato, è che vanno contestualizzate come strumenti di supporto alla didattica e all'apprendimento e, soprattutto, che non sono buone o cattive (il tablet, piuttosto che le fotocopie) a prescindere, direbbe Totò, magari sull'onda emotiva del momento. I giudizi vanno calibrati in base all'uso che se ne fa, sia dal lato istituzioni (Governo e Regioni, scuole e università, dirigenti scolastici, professori, insegnanti ed educatori), sia dal lato cittadino (famiglie, studenti / alunni / allievi). In questi ultimi anni, soprattutto da parte delle istituzioni, si è fatta molta demagogia spicciola, mentre la ricerca seria è affidata ad alcuni pionieri che tentano di affrontare il tema in maniera scientifica, ma ahimé sono poco ascoltati o letti. Molti altri, invece, in maniera superficiale (o furbesca?), sembrano cavalcare l'onda per meri scopi personali. E' noto, inoltre, che la politica vive di passioni effimere e di impatti immediati per immediate esigenze (ma di questo parlerò diffusamente in un prossimo post) e l'uso delle tecnologie a scuola è diventata, da qualche anno, una bandiera da ammainare o sventolare a seconda dei tempi e degli umori; mentre i nativi digitali, l'ariete per sfondare le eventuali resistenze e giustificare le azioni in campo (parafrasando Gianni Marconato, si potrebbe dire il "cavallo di Troia del neoacheismo tecnologico").

L'ho già scritto (nella tesi di dottorato e in altri post) e lo ripeto spesso a colleghi e amici: non basta riempire le scuole di tecnologie (in questo caso digitali) per poter migliorare l'apprendimento. Nel post precedente, ho citato alcuni articoli in cui questo aspetto appare di tutta evidenza. Decine di tablet in un laboratorio informatico e digitale, LIM o altri strumenti senza un'adeguata teoria e pratica pedagogica alle spalle sono gusci vuoti, effimere passioni cognitive in grado solo di "fare rumore" sul tema: distribuire qualche premio, permettere a qualche giornalista di scrivere articoli o a qualche affarista di pubblicare e vendere libri, gratificare insegnanti e alunni (e dirigenti scolastici) assieme a qualche sindaco e politico locale (o nazionale a seconda della portata dell'evento) e nulla più. Su questo poi cala silenziosa e maligna la nebbia del digital divide, contro cui l'Europa è impegnata, mentre l'Italia nicchia (basta ricordare le difficoltà di molte famiglie nell'iscrizione online di quest'anno). Un popolo di connessi non è sempre un bene per l'establishment. La Basilicata, nello specifico, è un esempio di questo annoso, quanto mai attuale problema. Se si pensa, inoltre, che oggi la politica corre molto sul web, mentre i dati di accesso non sono confortanti, si capisce come una buona fetta di popolazione non riesca a usufruire del diritto democratico alla piena informazione.

La mia richiesta al prossimo Governo è questa: mettiamo insieme le migliori menti italiane nel campo della pedagogia, delle tecnologie educative (digitali e non) e delle singole discipline scolastiche, e riscriviamo i programmi, pubblichiamo vademecum e linee guida, ristrutturiamo la formazione degli insegnanti, mettendo in piedi processi (come dice Gianni Marconato), tenendo bene a mente che formatori ed educatori non adeguatamente stimolati, coinvolti e consapevoli possono incrinare il sistema, essendo loro il perno di tutta la giostra che pone l'allievo (di tutte le età), come cittadino e persona, al centro del mondo. Pensiamo a come realizzare, finalmente, le classi aperte nell'ottica europea del lifelong learning (vessilo delle strategie comunitarie in tema di apprendimento, ma ancora lungi dall'essere pienamente realizzato), anche e soprattutto come arma per combattere l'abbandono scolastico e con un occhio al lavoro. Apprendere è l'unico mestiere che non manda la persona in pensione. Mai. E' una meravigliosa avventura che si dipana ogni giorno, fuori e dentro l'aula, e accompagna ciascuno di noi per tutto il ciclo della vita (dicendola alla Van Gennep, "dalla culla alla bara"). E' questo lo scenario a cui la scuola deve adeguarsi e non alle presunte abilità dei "nativi digitali" o alle mode tecnologiche del momento. Sarebbe un vero cambiamento epocale in termini di approccio alla questione. Questo mi aspetto per il mio paese. Il paese ideale in cui vorrei che mia figlia crescesse.
   

giovedì 3 gennaio 2013

Tecnologie educative: il dibattito continua

Il tema delle tecnologie educative vive a fiammate. Ci sono fasi in cui pare che la questione sia messa in naftalina. Poi, magari, qualche politico (di carriera o tecnico) la ributta lì, tanto per vedere che effetto fa. A volte, invece, il dibattito rifiorisce improvvisamente, con voci conttrastanti. E questo è un bene.

Di seguito un breve elenco dei post più interessanti sull'argomento, pubblicati nell'ultimo periodo (in ordine di lettura da parte del sottoscritto).

- Marco Dominici e Salvatore Nascarella, Il tablet in classe non fa la scuola digitale (via Catepol)

- Ross Wickens, Innovative ICT in Education: Twitter (via Web 2.0 and something else)

- Antonio Tombolini, La scuola digitale, i tempi sono maturi, perfino in Italia

- Pier Cesare Rivoltella, Social network e apprendimento in scuola

- Gianluigi Cogo, Abbracciare il digitale

- Gianni Marconato, Un’Agenda per la scuola?

- Gianni Marconato, Un insegnante che usa la LIM insegna meglio di uno che non la usa?

- Marina Boscaino, «Il digitale a scuola non migliora l’apprendimento»

- Enzo Zecchi, Le Tecnologie a Scuola? Prima la Pedagogia

- Giuseppe Granieri, La sfida della scuola (e dell'università)

- Paolo Ferri e Stefano Moriggi, Apprendere ricercando: la fine della didattica nozionistica

- Gianni Marconato, Il digitale a scuola migliora l’apprendimento?

Un ultimo pensiero a un grande maestro: David Jonassen. Se n'è andato qualche tempo fa dopo una lunga lotta con il più infame dei nemici. I suoi scritti sono stati illuminanti per me (ma non solo, lo sono stati, ovviamente, per moltissimi) e mi hanno aiutato in maniera cruciale nell'inquadrare il percorso di ricerca durante e dopo il PhD. Grazie David e buon viaggio.
 

mercoledì 12 settembre 2012

Toolbox - ClassMarker

ClassMarker (link)

  • Descrizione: Creare e Gestire Test e Quiz
  • Skill: comprensione orale, comprensione e produzione scritta
  • Ordine di scuola: scuola primaria, scuola secondaria di I e II grado

Dal sito ufficiale: "web-based testing service is an easy-to-use, customizable online test maker for business, training & educational assessment with tests and quizzes graded instantly".

Segnalazione (via Catepol e Giuseppe Granieri): il post "This is your brain on the Internet (maybe)" di Kyle Hill.