sabato 3 aprile 2010

Un altro report sulle abitudini dei nativi digitali

La presenza sociale dei nativi digitali sui network (Facebook, Twitter, ecc.) è massiccia ovunque nel mondo, anche a discapito di forme di social media radicate e diffuse quali i blog. Alle indagini citate nei post precedenti, aggiungo un’altra della Pew Internet & American Life Project intitolata: Social Media and Young Adults, parte di una serie di report finalizzati a identificare le attitudini e i comportamenti della cosiddetta “Millennial generation” (Millennials. A portrait of generation next). L’indagine delinea una società (quella americana) in cui l’utilizzo dei blog tende a scemare nelle giovani generazioni (e non per gli adulti), a scapito di tipologie di microblogging che contemplano l’aggiornamento continuo dei propri status online. La presenza sui social network è aumentata considerevolmente per tutte le fasce di età: maggiormente per gli adolescenti (73%) rispetto agli adulti (43%). Facebook rimane, comunque, lo strumento più utilizzato. Quest’ultimo dato è confermato anche dalle informazioni presenti nell’infografica postata in All Facebook (via Catepol). Il popolare social network è passato da un milione di membri attivi nel 2004 a 400 milioni nel 2010, con l’Italia che si piazza al sesto posto tra i primi 10 paesi con il maggior numero di utenti (quasi 15 milioni). Il dato più significativo, a mio avviso, è quello relativo al numero di micro-contenuti (foto, video, link, post dai blog, ecc.) inseriti ogni mese, che è pari a 5 miliardi. Ciò significa un’impressionante e incontrollabile mole di informazioni scambiate tra gli utenti, con il rischio concreto di un “soffocamento informativo”. E’ questo forse il più grande quesito che la società e i sistemi educativi contemporanei si trovano ad affrontare. Nel XXI secolo tutti abbiamo a disposizione molteplici modalità e canali di accesso alle informazioni e, di conseguenza, la sfida maggiore è trovare i mezzi più efficaci per districarci tra link, rimandi, citazioni, post, ecc., e recuperare conoscenza utile al nostro percorso formativo (ormai è indiscutibile che l’apprendimento permanente sia parte vitale e imprescindibile della nostra esistenza). Il compito degli educatori è, poi, ancora più complesso, perché implica un secondo livello di analisi e cioè come guidare le giovani generazioni in questo oceano. Le istituzioni sono chiamate a confrontarsi al più presto con tale problematica e ogni giorno di ritardo è quantomeno deleterio per l’identificazione di buone prassi da esportare nel nostro sistema educativo, ormai obsoleto e non connesso.

venerdì 2 aprile 2010

Connecting and learning teachers

Lo spunto per questo post viene da un pezzo di Will Richardson intitolato “Connected teacher” che, a sua volta, muove da alcune riflessioni sulla bozza del National Education Technology Plan, elaborato dall’Amministrazione Obama sull’utilizzo effettivo delle tecnologie per migliorare la didattica e l’apprendimento nelle scuole americane (in fondo al post il video di Arne Duncan, Secretary of Education). Tra gli obiettivi che si pone il documento è quello di connettere gli insegnanti tra loro per migliorare le proprie capacità didattiche. Richardson suggerisce, a mio avviso in maniera calzante, che la partecipazione degli insegnanti a comunità di pratica richieda un livello molto elevato di partecipazione e condivisione, oltre a un altro aspetto forse ancora più decisivo: i docenti devono considerare se stessi soprattutto come learners (non a caso uso il termine inglese non tradotto) in classe insieme ai loro studenti. Inoltre, diventa cruciale il ruolo della formazione in servizio, in termini di indicazioni pertinenti su come utilizzare strategie efficaci per migliorare e potenziare il proprio apprendimento online, soprattutto in riferimento al problema dell’information overload. Questi aspetti sono, a mio avviso, nodali se vogliamo realmente un cambio di rotta sulla programmazione curricolare a livello nazionale. Gli Stati Uniti sono decisi a seguire questa rotta e noi a che punto siamo? Molteplici studi (Ferri, Rivoltella, ecc.) sottolineano che uno degli scopi della “scuola in era digitale” è quello di educare i ragazzi a un uso consapevole dei media, quindi la domanda è: il nostro sistema scolastico è pronto a supportare i docenti in questo delicato compito?
A questo proposito, un interessate spunto metodologico proviene dal modello elaborato da Dave Snowden, costituito da due dimensioni: una verticale, basata sul maggiore o minore livello di astrazione; e una orizzontale, basata sulla cultura, intesa come rapporto tra insegnamento e apprendimento. Le possibili interazioni sono quattro: Low abstraction - Teaching, i materiali sono quelli ufficiali e strutturati; Restricted abstraction - Teaching, è il campo degli esperti e il contesto è dato da sistemi professionali in campo educativo, mentre l’appartenenza alla comunità è formale piuttosto che informale; Restricted abstraction - Learning, il livello di astrazione è più orientato all'esperienza comune che al linguaggio specialistico, per comunicare in questi ambienti bisogna condividere esperienze, vissuto e valori. E’ anche l'area per la serendipity (secondo Bowles, la ricerca umana della conoscenza può avvenire per caso, o come sottoprodotto del compito principale, fonte: “Of serendipity”); Low abstraction - Learning, è lo spazio meno strutturato dove l’utilizzo di tecnologie di rete può essere più o meno utile.

Di seguito, il video in cui Duncan invita i docenti a postare commenti, video, esperienze sul National Education Technology Plan e chiude con una frase significativa: “Technology has the potential to transform education. With your help, we can make that happen” (La tecnologia ha il potenziale per trasformare l'istruzione. Con il vostro aiuto, possiamo far sì che ciò accada).

Visual social media

Da due post: uno di Catepol e uno di Stephen Downes. I social media spiegati con un breve video (in inglese). Rapido, efficace, diretto. Da guardare.