mercoledì 27 aprile 2011

PHD, finalmente!!!

Come è noto, non amo molto l'autoreferenzialità, ma l'occasione è importante, ovviamente dopo la nascita di mia figlia. Al termine di tre anni di duro lavoro e svariate difficoltà, sono giunto alla tanto agognata meta del Dottorato di ricerca in E-learning & knowledge management.

Embedo, di seguito, la presentazione del lavoro effettuata in sede di discussione della Tesi, presso l'Università degli Studi di Macerata, il 14 aprile 2011.


giovedì 17 marzo 2011

Back again: riflessioni varie

Riemergo dal mio semi-letargo digitale. Gli ultimi mesi sono stati molto intensi e hanno, di fatto, cambiato radicalmente la mia vita e quella della mia famiglia. Prima i lavori in casa, poi la corsa per ultimare la Tesi di Dottorato entro la scadenza e, soprattutto, la nascita della mia primogenita Francesca Pia, il 31 gennaio 2011. In questo momento, mentre scrivo per il blog, con la mano sinistra (a fatica) digito sulla tastiera, mentre con la destra la cullo, tentando di farla addormentare: il digitale si interseca con il quotidiano. Lo spunto per questo post mi è venuto leggendo un articolo della sezione Basilicata dell'edizione cartacea del quotidiano "La Gazzetta del Mezzogiorno", di sabato 12 marzo. Il pezzo riporta la presentazione dei risultati dell'indagine "Abitudini e stili di vita degli adolescenti italiani", a cura della "Società Italiana di Pediatria", tenutasi presso l'Istituto Comprensivo "Sinisgalli" di Potenza (il raffronto tra dati nazionali e dati potentini è sul sito dell'Istituto). Lo studio è stato effettuato tra settembre e ottobre 2010, coinvolgendo un campione nazionale di circa 1300 studenti delle scuole medie inferiori, di età compresa tra i 12 e i 14 anni e somministrando loro un questionario durante l'orario scolastico. Tra le sezioni individuate, una è dedicata a "TV, Internet, videogiochi, cellulare". I dati fanno emergere un sostanziale "superamento" dell'utilizzo di Internet, rispetto alla televisione, per tempi inferiori a un'ora e superiori alle tre al giorno; durante i pasti principali e dopo cena la televisione la fa ancora da padrone, mentre di pomeriggio è altissima la percentuale dei ragazzi che usano della Rete. A Potenza, il 71,6% degli intervistati ha dichiarato di avere un profilo su Facebook (la percentuale nazionale si attesta al 67,1); molto alte, in tutta Italia così come nel capoluogo lucano, sono le percentuali legate ai servizi usufruiti online, quali "YouTube", "scaricare e condividere musica, immagini, video", "utilizzare Facebook, Twitter, ecc". E', inoltre, interessante il dato relativo a "cercare informazioni": i potentini si attestano al 72,8%, percentuale superiore alla media nazionale pari al 67,5%. Oltre a considerare questa indagine come un ulteriore ennesimo tassello da inserire nella vasta discussione sulla net generation, con tutte le varianti connesse di millennials, digital natives, ecc. (una buona sintesi è nell'articolo "The 'Net Generation' and the myth of research", segnalato, via Facebook, da Antonio Fini), è apprezzabile l'idea di utilizzare una scuola, alla presenza di insegnanti, genitori e studenti, per la presentazione dei dati di una ricerca di questo tipo, soprattutto per il dibattito che ne è poi scaturito. E' giusto coinvolgere tutti gli attori evitando, però, di cadere nell'errore di lanciarsi in facili generalizzazioni, magari senza aver mai toccato con mano le reali implicazioni della questione. Se da un lato, infatti, la Preside dell'Istituto ha affermato che "non si possono distogliere i ragazzi da Internet, ma guidarli a un uso consapevole e misurato", dall'altro gli interventi di alcuni genitori e dello stesso Dirigente Scolastico evidenziano ancora molte paure, dubbi e incertezze: in buona sostanza prevalgono gli aspetti "negativi", o presunti tali, rispetto agli innumerevoli vantaggi e possibilità, anche e soprattutto in termini educativi, che la Rete offre. La strada da seguire, comunque, è questa. Durante la ricerca di Dottorato, mi sono imbattuto in una forte esigenza, o meglio in un disperato bisogno, da parte dei docenti, di formazione specifica e non solo tecnologica, ma essenzialmente "tecno-pedagogica". Affiancare alle oramai innumerevoli ricerche legate ai ragazzi, al loro punto di vista, al loro "mondo" e alle loro "usanze" anche la "visuale" dei genitori e degli insegnanti, significa andare verso una cultura della condivisione degli obiettivi e delle aspettative di tutte le componenti del "sistema". Gli insegnanti devono essere maggiormente coinvolti, recuperando l'enorme bagaglio di esperienze sul campo da integrare con le potenzialità delle tecnologie di rete. Imporre dall'alto una serie di pratiche educative (si veda la "questione LIM"), una formazione solo tecnologica ("come si usa", "cosa fa", "funzioni e comandi" e così via), organizzare corsi e conferenze con esperti, ecc., sembra essere non più sufficiente. Soprattutto per bocca dei diretti interessati. Una parte cospicua dei docenti da me intervistati conosce i social media, o almeno ne ha sentito parlare. Al contrario, le domande che molti di loro si pongono sono del tipo: Come integro questi tool nella didattica d'aula? Come faccio a migliorare la mia progettazione educativa con l'ausilio delle tecnologie di rete? Cosa posso insegnare attraverso tali strumenti? E' tempo di operare una sorta di "controrivoluzione copernicana". Questo non significa riportare l'insegnante al centro del sistema, ma ripartire proprio da una ridefinizione del ruolo e delle competenze dei docenti per sfruttare tutte le potenzialità educative insite nelle tecnologie di rete.  

E ora alcune segnalazioni:

- l'elenco delle pubblicazioni di Jane Hart, "My guides to using social media", fornisce una serie di spunti interessanti per un utilizzo pratico delle tecnologie digitali e di rete nella didattica;
- l'ultimo numero di Form@re, dedicato al microblogging e ad alcune esperienze europee sull'uso didattico dei social network;
- un elenco di attività per potenziare le abilità legate alla comprensione e produzione orale e alla produzione scritta in lingua straniera, utilizzando una serie di web tool (dal blog di Ana Maria Menez).

Infine, embedo l'ultimo video di Michael Wesch, in cui il ricercatore rielabora e attualizza alcuni dei temi da lui trattati nei suoi precedenti lavori.


giovedì 12 agosto 2010

Il fattore “P”

Dove la “P” sta per pigrizia intellettuale, direttamente proporzionale alla diffusione del fattore “G”, il fattore “Google”. Se ne discute su vari blog da tempo, ma adesso che anche un giornale di elevato spessore e caratura se ne è occupato, speriamo che l’attenzione continui a salire su su fino alle sfere istituzionali. E già, perché l’articolo in questione ha un titolo cristallino “G-dipendenti e copioni. Bocciati i giovani sul web” e prende le mosse da uno studio (Trust Online: Young Adults' Evaluation of Web Content) di alcuni ricercatori della Northwestern University di Chicago, pubblicato sulla rivista International Journal of Communication” (Vol 4 2010). La ricerca ha interessato circa un migliaio di giovani americani tra i 18 e i 20 anni e ha messo in luce alcune “inquietanti” tendenze (così vengono definite dall’articolista) che, in breve, possono essere così riassunte: la rete è lo strumento maggiormente utilizzato per le ricerche; l’attendibilità di quanto trovato e delle fonti non è una questione avvertita come necessaria; i motori di ricerca sono assurti a dispensatori di verità assolute e indiscutibili; scarsa conoscenza dei principi regolatori degli algoritmi di ricerca (PageRank di Google, per esempio, che indicizza i siti in base ai collegamenti con altri indirizzi IP); affidamento immediato sul primo risultato, in ordine di apparizione, sulla pagina del motore di ricerca utilizzato; scarsa capacità di discernere tra pubblicità e link in primo piano; indifferenza verso gli autori dei materiali reperiti online; maglie larghe nei confronti del “cut & paste” selvaggio, effettuato con disinvoltura. Da quanto appena scritto, si capisce come siamo di fronte a un bel “fritto misto”, un insieme delle abitudini più “scorrette” da un punto di vista di etica online o netiquette della ricerca. Partendo dal problema del “copia e incolla”, non mi soffermerei solo sulla “seria violazione delle regole scolastiche”, come scritto nell’articolo. Anzi, direi, che a cascata tale questione si porta dietro le altre e il titolo del post. Andare alla ricerca delle fonti, capire se quanto trovato è di qualità oppure no, verificare, approfondire non deve essere concepita come una pratica da “secchioni” (come per es. non fermarsi mai alla prima definizione o traduzione reperita su un vocabolario italiano o di lingua straniera). Dovrebbe essere la normale prassi che motiva e stimola la curiosità intellettuale. Aspetto questo che ha fatto dell’homo sapiens sapiens ciò che è oggi (con tutte le inevitabili eccezioni, ovviamente). Nell’articolo è scritto che “in tanti si affidano acriticamente ai grandi marchi e a rotte di navigazione già percorse, rinunciando al brivido della scoperta a vantaggio della pigrizia mentale” (è chiaro come lo spunto per il titolo del post sia venuto da quest’ultima espressione). Come non essere d’accordo. Su vari blog, compreso questo, si è spesso dibattuto della necessità di un uso consapevole della tecnologia e dei mezzi offerti dalla rete. Il problema è sempre lì: i nativi digitali hanno fra le mani strumenti preziosi, ma di cui conoscono o hanno imparato a conoscere solo una piccolissima parte. Gli immigrati digitali se da un lato hanno sempre il fiato grosso per stare dietro al vorticoso correre della net generation, dall’altro hanno il background culturale per vedere oltre la tecnologia e ravvisare le potenzialità degli artefatti tecnologici che repentinamente si trasformano attorno a noi. La pigrizia però non è solo dei nativi, ma anche degli immigrati. Troppo scomodo provare, sperimentare e rimettersi in discussione. Speriamo solo che l’articolo di Repubblica non diventi la solita arma a doppio taglio, per i pigri, per affettare e impacchettare il futuro. Un’ultima chiosa sul concetto di diritti d’autore. In un altro post ho argomentato sulla necessità della “conoscenza come bene comune” e mi sento di affermare che, sulla questione dei “diritti d’autore” o del “copyright”, non condivido posizioni catastrofiche, censorie o millenariste. Michael Wesch, nel suo video “The machine is us” ci suggerisce di rivedere e ripensare alcuni concetti quali “copyright, identità, etica, estetica, retorica, governo, privacy, commercio, amore, famiglia, noi stessi”. Sono sempre più d’accordo con lui e continuerò a supportare e difendere il motto “libera conoscenza in libero mondo” perché, come dicono Charlotte Hess e Elinor Ostrom nell’introduzione al loro libro, “la conoscenza genera vantaggi per tutti nella misura in cui l’accesso a tale patrimonio sia aperto a tutti”. Dimenticavo. L’indagine della Northwestern University si riferisce a giovani americani. Domanda: ma siamo sicuri che, in Italia, le cose stiano diversamente? Da quello che vedo e sento una risposta, forse, l’ho già in mente.

venerdì 23 luglio 2010

Nuovi abitanti antiche questioni

Palinuro (SA). Ore 11:50. Vacanze, mare cristallino, cielo limpido, sole, ottimo cibo, l'amico Conrad sotto l'ombrellone e area wi-fi. E già: ormai tutti, o quasi tutti, i villaggi, campeggi, alberghi, e così via, hanno la loro brava "wi-fi zone" e i clienti, me compreso, sembrano apprezzare molto il servizio. Da qualche anno, tra le innumerevoli cose da portare in vacanza, non mancano uno o addirittura più portatili, cellulari smartphone, IPhone (fra poco IPad) e chi più tecnologia ne ha più ne metta. Avrei voluto prendermi una vacanza dalla stessa (come suggerisce Ernesto, segnalando l'articolo "Take Your Vacation - Please"), ma vuoi per la tesi di Dottorato, vuoi perché nell'area wi-fi del Villaggio ci sono più portatili che tavolini, non ci sono riuscito completamente (con mio grande rammarico). Ieri ho assistito a due scene / situazioni, a mio avviso emblematiche. La prima rappresenta, forse più di libri, articoli, post e quant'altro, l'evoluzione dell'homo sapiens sapiens a homo connecticus. Sedute a un tavolino ho visto una ragazza, di circa quindici anni, che navigava (e chattava) con disinvoltura; al suo fianco la nonna che ricamava all'uncinetto con espressione rilassata. Nessuna delle due, con molta probabilità, aveva la benché minima idea di quello che faceva l'altra, ma davano l'impressione che una serena coesistenza tra i due "mondi" è possibile. Quasi contemporaneamente, due bambini, 9/10 anni uno 5/6 anni l'altro, si sono avvicinati e mi hanno chiesto aiuto per collegare un portatile alla presa della corrente. Da bravo futuro papà mi sono prodigato e poi, ingenuamente, ho chiesto se avevano bisogno di altro per utilizzare il PC (il sole mi aveva dato alla testa). L'ovvia risposta del grande è stata: "no, grazie: so benissimo cosa fare". Consapevole della gaffe, ho girato i tacchi e con la coda dell'occhio ho scorto il piccolo che maneggiava con sicurezza uno smartphone di ultimissima generazione. Nel frattempo, però, mi sono reso conto, con un'intuizione fulminea, che non c'erano i genitori in giro. Risultato: i due bimbi hanno continuato a stare lì per un'oretta buona, finché il piccolo non ha detto di avere fame. Allora, altro aiutino per staccare la presa e via verso la pasta asciutta. Non è una favola di LaFontaine, ma forse gli assomiglia, adattata naturalmente al XXI secolo. Non c'è morale da cercare, c'è solo da fare qualche considerazione. Come scrive Giorgio Jannis sul Blog Nuovi Abitanti, "i bambini sanno cosa fare su internet. Guardano Youtube, hanno i loro siti preferiti per giocare, vanno a cercare informazioni sui cartoni animati preferiti o su Harry Potter o Lady Gaga, conoscono Wikipedia. A partire dalle scuole medie, o anche per quelli di quarta e quinta elementare, il riferimento nei loro discorsi a cose viste in Rete è costante, il web è un Luogo abitato, e tanto quanto a quell'età espandono il loro orizzonte verso il vicinato e i gruppi di amici, così esplorano territori indifferentemente fisici o digitali". Questo significa che diventa imprescindibile un'educazione ai media, prima per genitori e insegnanti, in modo che siano in grado di dare ai propri figli / alunni le giuste coordinate per utilizzare al meglio i nuovi strumenti. L'assenza dei genitori dei due bambini non va vista come un'illuminata lungimiranza tendente all'indipendenza dei pargoli, quanto piuttosto una censurabile negligenza: l'impressione che ho avuto (in stridente contrasto con la scena precedente) è che il portatile e lo smartphone rischiano di sostituire il ruolo che aveva la TV fino a una generazione fa e cioè surrogato della presenza parentale (inoltre qualcuno, emulando Popper, potrebbe poi scrivere un saggio dal titolo "Cattivo maestro computer"). Il rischio principale è soprattutto di sprecare l'enorme chance di far acquisire ai nostri figli / alunni le corrette competenze digitali per (cito ancora Jennis) "renderli Abitanti anche del nuovo mondo immateriale, il web in cui vivono a pieno diritto".

mercoledì 7 luglio 2010

Google for teachers

Mini-post per informare di un bel lavoro di Richard Byrne: Google for teachers II. Si tratta della seconda versione pubblicata. E' una guida rapida e maneggevole, in inglese, che illustra, passo dopo passo, come utilizzare tutte le applicazioni di Google, in ottica educativa e formativa. Materiale molto utile per tutti gli insegnanti che vogliano cimentarsi utilizzando tool gratuiti e intuitivi. Il post va nell'ottica e nella direzione dei 44 gatti di Catpol (cito e condivido appieno): "abilitare all’uso attivo, partecipato o anche solo utile di strumenti e canali a disposizione di tutti, nessuno escluso". Fuori dal piccolo orticello privato e dentro il mondo. Di conseguenza, partire da insegnanti ed educatori potrebbe essere un buon inizio.

sabato 26 giugno 2010

Change happens everywhere

Embedo, via Catepol, un bel video sui repentini cambiamenti che Internet ha portato negli ultimissimi anni. Il filmato è in inglese e inizia con una serie di confronti che danno immediatamente l'idea di ciò che succede ora, nel presente (il passaggio da: i media analogici a quelli digitali, il comando e il controllo, alla comunicazione e alla collaborazione, la produzione di massa alla produzione tra pari, innovazioni chiuse a innovazioni aperte), e continua con una serie di numeri veramente impressionanti. Da vedere. Mi permetto, inoltre, di segnalare uno strumento utilissimo, soprattutto nell'ambito della didattica delle lingue straniere: Edocza. Il servizio dà la possibilità di rintracciare e scaricare documenti in vari formati e in numerose lingue. Infine, per portare un ulteriore contributo al tema già discusso qui sulla conoscenza come bene comune e sempre nell'ottica dei cambiamenti che l'evoluzione di Internet sta portando nel mondo, consiglio di leggere l'intervista a Wayne Mackintosh, fondatore di WikiEducator. Il tema è l'importanza delle licenze di tipo Creative Commons (CC) come vantaggio competitivo nel campo della formazione e dell'educazione nel mondo digitale, il cui principio motore dovrebbe essere: condividere la conoscenza gratuitamente. Secondo Wayne, le licenze CC sono "l'aria che il movimento Open Educational Resources (OER) respira. Sono il facilitatore legale per affrontare il complesso tema della proprietà intellettuale nel campo dell'educazione e della formazione, aiutandoci a spostarci da una cultura restrittiva a una libera e aperta". E' da rimarcare che uno degli obiettivi di WikiEducator è "sviluppare risorse digitali libere e gratuite da mettere a disposizione per supportare tutti i curricoli nazionali entro il 2015". In Nuova Zelanda sono già partiti con un'iniziativa sperimentale, chiedendo la collaborazione degli insegnanti per lo sviluppo e l'aggiornamento dei materiali, tramite il progetto OERNZ. Change happens now!


lunedì 21 giugno 2010

Web tools per la didattica e altri spunti

Segnalo un bel lavoro di Ana Maria Menezes, insegnante di EFL (English as a Foreign Language) in Brasile, dal titolo: Web tools applied to teaching. E' un breve compendio in cui l'autrice elenca una serie di strumenti web-based e di tipo free da utilizzare nella didattica, soprattutto delle lingue straniere. Ogni scheda è corredata da esempi, proposte operative in aula e fuori e skill linguistiche coinvolte. Premesso che sono un convinto sostenitore delle risorse a disposizione di chiunque e utilizzabili da qualunque postazione, in un'ottica di lifelong learning, il lavoro di Ana Maria mi sembra un'ottimo punto di partenza per quanti desiderino aprire le proprie prospettive e percorrere nuove strade per innovare la didattica.



Embedo, di seguito (sempre nell'ottica di: blog = anche raccolta di appunti personali), una bella e sintetica presentazione sul tema del PLE (Personal Learning Environment), sul quale a breve scriverò un post più articolato.


Infine, chiudo segnalando il post di Pier Cesare Rivoltella, Scuola del futuro?, contenente una serie di interessanti spunti di riflessione, a seguito di un progetto annuale sviluppato in alcune scuole. I filoni da lui individuati sono essenzialmente tre: mind the gaps (importanza di tenere conto delle distanze / differenze, per esempio quelle tra nativi digitali e docenti); considerare la complessità (quindi progettare bene i passaggi per inserire le tecnologie in aula in modo proficuo); frequentare i confini (abbandonare i punti di vista puri, ma, per esempio, iniziare a tener conto anche degli incroci e delle contaminazioni tra saperi).