martedì 25 maggio 2010

L'apprendimento è sociale?

Ho seguito con interesse una diatriba oltre oceano sulla natura dell'apprendimento: c'è chi sostiene che si tratti di una pratica essenzialmente sociale e chi, invece, afferma l'esatto contrario. A parte la mia naturale repulsione verso posizioni troppo rigide che non contemplino una scala di grigi, credo che la questione non sia da porre in termini di “contrapposizione tra guelfi e ghibellini”, né di asserzioni nette. Le mie riflessioni, ovviamente, sono da considerarsi nell'ottica della glottodidattica e delle dinamiche sottese all'acquisizione / apprendimento di una o più lingue straniere. In breve, la mia idea è che l'apprendimento sia, prevalentemente, una pratica sociale, ma anche che una componente di riflessione o meta-riflessione di natura personale o "privatistica" contribuisca a completare il processo in maniera efficace. Una lingua è “un mezzo per raggiungere scopi, un’espressione di un rapporto di ruolo sociale, un indicatore di appartenenza a un gruppo, un’espressione di una cultura, uno strumento del pensiero e uno strumento di espressione” (Balboni, 2002, p. 59-60). L’acquisizione/apprendimento di una lingua straniera si caratterizza, di conseguenza, per essere un processo sociale, basato sul contenuto e sulla “lingua reale”, che si sviluppa nell’interscambio con il mondo e le persone. Il primo riferimento alla dimensione sociale della lingua è dell’inglese John Rupert Firth che, già negli anni ’30 del XX secolo, teorizzava una filosofia del linguaggio basata sullo stretto rapporto tra lingua, cultura e società. Inoltre, sosteneva che la lingua andasse studiata nella sua accezione di fenomeno sociale e, di conseguenza, in situazioni reali d’uso. Successivamente, negli anni ’60, Dell Hymes introdusse il concetto di competenza comunicativa, mentre, qualche anno dopo, M.A.K. Halliday (1978) focalizzò la sua attenzione sulla funzione sociale del linguaggio. Di recente, il cosiddetto approccio socio-glottodidattico, ha come finalità quella di “sviluppare nei discenti una sensibilità socio-linguistica che consenta loro di diventare sempre più indipendenti nella comprensione e nella gestione dell’uso sociale della lingua” (Santipolo, 2010). Da quanto appena illustrato, si evince che nella letteratura riferita alla ricerca sulla didattica delle lingue straniere, l'importanza del contesto sociale nell'acquisizione / apprendimento è stata ampiamente assodata e dimostrata. Uno dei problemi che, infatti, affligge costantemente il docente è la scarsa esposizione dei suoi studenti alla lingua target. Tant'è che la soluzione spesso proposta dagli educatori è consigliare un periodo di immersione totale nel paese di riferimento, dove sussistono le condizioni per un'acquisizione naturale (Krashen, 1982). La fase di elaborazione personale è, però, necessaria, per sedimentare e rendere acquisite le strutture incontrate. Ed è qui che diventa cruciale il compito del docente: fornire allo studente gli strumenti per creare il proprio percorso di apprendimento consapevole, al di fuori del contesto meramente scolastico, in un’ottica di Lifelong and Lifewide Language Learning. Uno studente autonomo è, infatti, capace di elaborare strategie meta-cognitive riguardanti le operazioni di progettazione, selezionare metodi e strumenti idonei per realizzare il proprio percorso, auto-valutarsi e rapportarsi agli altri in maniera cooperativa (capacità socio-affettive). In questo scenario le tecnologie e, di recente, soprattutto quelle di rete, possono contribuire a creare un ambiente di apprendimento, per le lingue straniere, motivante ed efficace in cui il discente può essere aiutato a potenziare le varie abilità linguistiche, ma anche a riflettere sulla lingua e sul suo continuo evolversi, sulle strutture, sulla cultura e sull’importanza di acquisire strategie utili e produttive sia nell’immediato sia in prospettiva.

Embedo, di seguito, il video di David Truss, della durata di quattro minuti circa, sull'importanza di essere un networked teacher ("A brave new world-wide-web"). Segnalo una sua affermazione, riferita al rapporto tra insegnante e tecnologie, che dovrebbe essere spesso tenuta in considerazione: "See the opportunities rather than the obstacles" ("Vedi le opportunità e non gli ostacoli" o "Concentrati sulle opportunità e non sugli ostacoli").

domenica 23 maggio 2010

Barcamp InnovatoriPA 2010: un'occasione persa...per me

Riflessioni su quello che avrei voluto dire e non ho detto, ma che ho pensato e penso da tempo, anche su spunti altrui.

Questo post serve soprattutto a me per "esorcizzare" la delusione per non essere stato presente, per svariati motivi, all'evento. Almeno sono riuscito a guardare lo streaming con le micro-presentazioni da 5 minuti della mattina del 19 maggio. L'entusiasmo, gli spunti, le idee, le suggestioni dei relatori e anche quelle che, di certo, saranno emerse durante i tavoli del pomeriggio dimostrano che c'è una grande vitalità tra gli Innovatori, risorsa importante e decisiva per ravvivare lo spento flusso di motivazioni all'interno della PA. Quest'ultima (da quella centrale, agli enti locali, al mondo della formazione e dell'istruzione) si muove e cambia rotta con la velocità di un bradipo, ma non credo potrà continuare a fare a meno in eterno dei fermenti che provengono dal gruppo Innovatori. Il nostro paese soffre di molteplici croniche contraddizioni tipicamente "italiche": da un lato il Ministro della Funzione Pubblica promuove la digitalizzazione delle PA, dall'altro vieta l'uso di Facebook in ufficio; oppure vengono premiati gli istituti scolastici (durante il convegno “A scuola di innovazione”), mentre i docenti continuano a sequestrare i cellulari ai propri alunni in aula. Due miei amici hanno partecipato e hanno contribuito con interventi puntuali ai lavori: sono d'accordo con Ernesto e con la sua declinazione dei "Dieci comandamenti dell'amministrazione digitale" (a proposito, mi ha promesso che posterà le slide), soprattuto con il quinto: "Basta con i progetti pilota e le sedi campione". Anche in questo blog, infatti, per la parte educativa, si è detto dell'importanza di chiudere la fase delle sperimentazioni sull'uso delle tecnologie nella scuola per passare a un secondo step e cominciare a ragionare sulla revisione dei curricoli, in ottica digitale. Come non condividere l'appello di Caterina (qui la sua presentazione) a non temere e vietare i social network che hanno nella condivisione di conoscenza il cuore pulsante. Spesso, infatti, trascinati da posizioni ideologiche, molti dimenticano quanto l'antropologia ci ha spiegato e cioè che l'uomo è un animale sociale: vive in un contesto, migliora o peggiora a seconda delle relazioni che costruisce, impara dagli altri e con gli altri e, contemporaneamente, insegna agli altri. I social media sono la naturale evoluzione delle modalità con cui le dinamiche sociali si sviluppano nel XXI secolo. Nella mia vita lavorativa, ho avuto la fortuna di far parte dei vari comparti della PA (scuola, università e, da poco, Regione) e posso affermare che la questione non si pone in ambito "professionale". Ci sono tanti bravi operatori che amano il proprio lavoro e sono pronti a fare i passi necessari per innovare le loro competenze e migliorare le condizioni dei servizi offerti ai cittadini. E' tempo di attuare una svolta radicale, non necessariamente in termini di infrastrutture tecnologiche (anche se il tema del digital divide è sempre attuale, ovunque), quanto piuttosto di approccio e cioè educare alla consapevolezza dell'uso dei social media (cito Caterina e sono tremendamente d'accordo con lei). Al di là di considerazioni etiche, educative, professionali, giuridiche, è una questione di opportunità. Il compito di tutti è e sarà far riscoprire e far apprezzare la bellezza di potersi esprimere liberamente, condividere, diffondere, argomentare, ma, soprattutto, avere il coraggio, se e quando si avverte la necessità, di cambiare idea.

sabato 22 maggio 2010

La mia tesi

Con inspiegabile ritardo, e quindi non so francamente fornire le motivazioni, embedo qui la presentazione della mia tesi che ho da pochissimo caricato su Slideshare.

lunedì 17 maggio 2010

Social Media Revolution

Posto qui, anche per mio promemoria, la seconda versione del video "Social media revolution" che, tra i tanti pubblicati sul tema, mi sembra uno dei più sintetici e molto straight to the point. I tre dati che mi hanno maggiormente colpito, in ottica educativa, sono: oltre il 96 % dei millennial (nativi digitali) ha un profilo su un social network; se Facebook fosse un paese, sarebbe il terzo più popolato dopo Cina e India; uno studio recente dell'US Department of Education ha sottolineato come le prestazioni degli studenti online superino quelle dei loro colleghi impegnati in lezioni esclusivamente frontali. Sono temi già abbondantemente trattati in questo blog, ma fa riflettere come sia sempre più necessaria un'attenzione particolare verso il mondo dei natvi digitali che si sviluppa e cresce fuori dalla scuola e non solo in senso letterale, riferito alle mura dell'istituto, ma anche da un punto di vista "culturale" e di aproccio. Il senso del video è che si tratta di una vera e propria rivoluzione nel modo di comunicare. I ragazzi lo hanno afferrato al volo, la Scuola no. E a ciò si lega il fatto che i docenti di lingue straniere dovrebbero, per primi, guadare il fiume, con coraggio. Imparare una lingua diversa dalla propria è soprattutto un atto comunicativo e sociale e, perciò, non può prescindere dai mezzi che il mondo usa per comunicare. Von Humoldt diceva che "non si può insegnare una lingua, si possono al massimo creare le condizioni perché qualcuno l’apprenda". Ebbene, agli inizi del XXI secolo le condizioni, gli strumenti e la consapevolezza sono cambiati. E' ora che le istituzioni educative seguano la corrente e si adattino agli input che provengoni dal di fuori delle aule scolastiche, invece di ostinarsi a remare contro o peggio a volgere lo sguardo da un'altra parte.

domenica 2 maggio 2010

La conoscenza come bene comune

Sto leggendo un interessantissimo libro, il cui titolo è anche quello del post, di Charlotte Hess e Elinor Ostrom (Bruno Mondadori Editore, edizione italiana curata da Paolo Ferri), che raccoglie una serie di contributi sul tema del libero acceso alla conoscenza (è stata anche aperta una pagina dedicata su Facebook). Non ho intenzione di addentrarmi nelle questioni legate al copyright e alle possibilità di un suo ripensamento nell’era digitale (a tal proposito rimando al Blog di Ernesto Belisario per eventuali approfondimenti), ma di affrontare il tema da un punto di vista di opportunità. Le tecnologie e l’avvento del social web hanno trasformato la Rete e, di conseguenza, il modo di fare, produrre, condividere informazioni e conoscenza. L’utente è diventato un “prosumer” (neologismo creato dal futurologo Alvin Toffler nel 1980, formato dalle parole producer e consumer) e, in quanto tale, contribuisce direttamente ad aumentare e potenziare il Web e farlo diventare un immenso database di risorse in continuo aggiornamento. Una delle modalità di distribuzione e accumulo della conoscenza è l’operazione di condivisione dei link, strumento contenuto in tutti i social media oggi disponibili (su Facebook, per esempio, gli utenti ne condividono circa 25 miliardi ogni mese). Di recente ho letto una notizia sul Corriere della Sera relativa alla funzione “Like” (“Mi piace”), che è un modo per accrescere la popolarità di status, notizie, link, ecc. Ebbene, pare che il popolare social network stia puntando molto su questo “tasto” che è anche comparso sui siti web della CNN (“Recommend”) e di Internet Movie Database (“Like”). A breve potrebbe essere utilizzato su quelli di Wikipedia e del New York Times. Il potenziale, in termini commerciali, è evidente, ma credo anche a livello di diffusione di conoscenza, intesa come somma delle manifestazioni umane che comportano un accrescimento del sapere collettivo e, di conseguenza, del bacino di informazioni a cui dare maggiore o minore risalto. Si va, dunque, sempre più verso un mondo in cui sarà essenziale il libero accesso al sapere e il concetto di conoscenza come bene comune avrà un peso specifico decisivo. A questo si lega il fatto che uno degli aspetti più dirompenti di tutti i tool a disposizione dei prosumer è la portabilità, cioè accedere alle risorse proprie ed esterne praticamente da qualunque postazione. Jimmy Wales, fondatore del progetto Wikipedia, intervenuto al "Festival delle Città Impresa 2010", tenutosi a Borgoricco (PD) il 24 aprile 2010, con un talk intitolato “La conoscenza si sviluppa in rete”, ha sottolineato alcuni aspetti importanti sull’evoluzione del mondo nel XXI secolo, dove la gente ha sviluppato una profonda passione per l'informazione e la conoscenza. Nel 1972 Charles van Doren, uno degli editori dell'Enciclopedia Britannica, dichiarò che “l’enciclopedia ideale dovrebbe essere radicale e smettere di essere sicura”; in realtà non è stato così, nel senso che le enciclopedie sono state prodotte sempre con metodi tradizionali e di grande qualità. Wikipedia, invece, nasce da un’idea radicale: “immaginare uno mondo in cui ciascuna persona sul pianeta abbia libero accesso a tutto il sapere umano”. Il termine “free” è inteso come gratuito e libero e, quindi, i contenuti sono accessibili, liberamente modificabili e adattabili. Il progetto si fonda principalmente su due pilastri e cioè collaborazione e condivisione. Quest’ultimo fa anche da motore propulsore per molte iniziative nei paesi in via di sviluppo, basate sulla conoscenza di Wikipedia distribuita a persone che non possono accedere a Internet. A mio avviso, comunque, andrebbero aggiunti altri due pilastri a quelli citati poc’anzi: il volontariato e la neutralità. Wikipedia ha solo 35 dipendenti, ma oltre 100.000 volontari (tra sviluppatori ed editor) che permettono di ridurre i costi, ma anche di “controllare” la veridicità e l’attendibilità dei contenuti proposti, tanto che gli errori riscontrati sono in numero minore rispetto a quelli dell’Encyclopedia Britannica: è il potere dell’intelligenza collettiva. E ancora. Il materiale proposto punta a una forte neutralità dal punto di vista politico: spetta a Wikipedia dare informazioni il più possibile corrette, in modo che la gente abbia gli strumenti adeguati per farsi un’idea e poter decidere da sola.

Nell’introduzione al testo di Hess e Ostrom, scritta a quattro mani dagli stessi curatori del volume, ci sono alcuni concetti da sottolineare e che i personaggi a capo dei nostri sistemi politici ed educativi farebbero bene a tener presente. La conoscenza è cumulativa e ciò “genera vantaggi per tutti nella misura in cui l’accesso a tale patrimonio sia aperto a tutti” e, quindi, va considerata come un bene pubblico “dal momento che, una volta compiuta una scoperta, è difficile impedire ad altre persone di venirne a conoscenza” (p. 10-11). Chiudo con la citazione di una frase di David Wiley, presa dal video di un suo intervento, “Openess in Education”, e che è rivolta, principalmente, agli insegnanti: “the most successful educators share most thoroughly with the most students” (gli educatori con maggior successo condividono a fondo con la maggior parte dei propri studenti).
 
A proposito di diffusione della conoscenza, di seguito embedo un video (via Web 2.0 and Something Else) molto ben fatto sulla storia di Internet e sul passaggio dal time sharing al file sharing. Da far vedere anche in classe.
 

sabato 17 aprile 2010

Wikipedia story

Un recente articolo di Repubblica recensisce un testo di Andrew Lih, un membro del gruppo storico della più famosa enciclopedia online, in cui viene raccontata e ricostruita la storia e l’evoluzione di questo grandioso fenomeno sociale di democratic knowledge sharing (La rivoluzione di Wikipedia, Codice Edizioni, 2010). Rimando al testo dell’articolo e alla lettura del libro per approfondimenti.

domenica 11 aprile 2010

Is Twitter dead?

Un post sull'uso di Twitter in ambiente accademico e il rapporto con Facebook. Le slide costituiscono un ottimo spunto di riflessione sui social network e il loro impiego nella didattica. Nel caso specifico si tratta di un lavoro su Shakespeare.